Taiwan inserisce Huawei e Smic nella sua lista nera, imponendo severe licenze per ogni esportazione di chip verso le due aziende cinesi. La misura, allineata alle restrizioni americane, ha lo scopo di proteggere le tecnologie sensibili e frenare l’ambizione cinese nel settore dei semiconduttori, in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche nello Stretto di Taiwan
In una mossa destinata a inasprire ulteriormente il confronto tecnologico con Pechino, il governo di Taiwan ha inserito i colossi cinesi Huawei Technologies e Semiconductor Manufacturing International Corp. (SMIC) nella propria Strategic High‑Tech Commodities Entity List. L’aggiornamento, pubblicato sabato dall’Amministrazione per il commercio internazionale del ministero degli Affari economici, include complessivamente 601 entità straniere coinvolte in attività di proliferazione militare e preoccupazioni per la sicurezza nazionale.
Le nuove restrizioni
Le nuove restrizioni impongono alle imprese taiwanesi l’obbligo di ottenere una licenza governativa ogni volta che intendano esportare prodotti o tecnologie legate alla produzione di chip verso le società inserite nella blacklist, estendendo così le già stringenti misure statunitensi. In particolare, vengono colpiti processi avanzati e componenti per impianti di semiconduttori, fondamentali per lo sviluppo di processori di ultima generazione e applicazioni di intelligenza artificiale.
Un colpo all’ambizione cinese
Huawei e SMIC rappresentano i due pilastri della strategia di Pechino per colmare il divario con i produttori americani come Nvidia e la taiwanese TSMC. SMIC, primo produttore cinese di chip a contratto, e Huawei, impegnata da anni nello sviluppo di processori AI proprietari, avevano già subito numerose restrizioni da Washington. L’inclusione nella lista nera di Taipei impedisce ora anche l’accesso a materiali, macchinari e know‑how vitale fornito dalle aziende dell’isola, tra cui la leader mondiale Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.Secondo l’analista indipendente Ray Wang citata dal South China Morning Post, “la mossa di Taipei serve a chiudere i buchi normativi rimasti aperti dopo le restrizioni statunitensi, alzando la posta in gioco per chi dovesse tentare di eluderle in futuro”.
Le ripercussioni sul mercato
La decisione di Taiwan rischia di rallentare i piani di Pechino per la costruzione di una filiera nazionale dei semiconduttori e di costringere Huawei e SMIC a rivolgersi a fornitori terzi meno avanzati, con costi e tempi di realizzazione maggiori. Già nel 2023, la scoperta di un chip TSMC all’interno di un sistema di addestramento AI di Huawei aveva portato il Dipartimento del Commercio USA a vietare a TSMC determinati servizi per la Cina continentale, con la concreta minaccia di sanzioni miliardarie. Per Taipei, l’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato si tutela la competitività delle proprie aziende, dall’altro si contribuisce alla sicurezza nazionale impedendo che tecnologie sensibili finiscano nelle mani di Pechino, in linea con le istanze di Washington.
Reazioni e prospettive geopolitiche
Pechino ha reagito con toni duri, denunciando l’“atteggiamento provocatorio” di Taipei e ribadendo la ferma volontà di promuovere la “riunificazione” dell’isola. Intanto, gli Stati Uniti—che a inizio aprile hanno confermato il proprio impegno a difesa dello status quo nello Stretto di Taiwan—osservano con favore l’allineamento strategico di Taipei. Sul fronte interno, il presidente Lai Ching‑te ha definito le misure come “essenziali per difendere la nostra sovranità e il nostro vantaggio tecnologico”. Dalla parte opposta, alcuni commentatori mettono in guardia sui rischi di una frammentazione eccessiva del mercato globale dei chip, che potrebbe accelerare la formazione di due ecosistemi separati e indebolire la cooperazione internazionale nella sicurezza informatica.