Lo Stretto di Hormuz è cruciale per i traffici energetici mondiali: un suo blocco, paventato dall’Iran nel quadro delle tensioni in Medio Oriente, rischia di far impennare i prezzi di petrolio e gas, con gravi ripercussioni su economie e mercati globali, in particolare europei. L’analisi di Biagino Costanzo, cofondatore di Knosso
È tempo di dire la verità alle comunità. Di far comprendere che tutto sta cambiando e velocemente. Permacrisi significa questo: ci muoviamo continuamente da un’emergenza all’altra, è una condizione di crisi permanente, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza a livello globale e non.
Basta guardarsi l’ombelico e iniettarsi massicce dosi di ego espanso, e non solo in Italia ma nell’Europa intera, alzando lo sguardo verso quel che ci circonda. Siamo inondati solo da becera propaganda qualunpopulista e si straparla per ore e giorni di cose inutili, del nulla il più delle volte e quindi tocca a chi ha maggiore responsabilità pubbliche dire e fare anche cose impopolari. Che poi impopolari non sono se qualcuno pensa a una visione del futuro, anche prossimo, per le generazioni che seguiranno. Altrimenti diciamolo pure, siamo all’individualismo più esecrabile, “Me ne frego dei miei figli e nipoti, pensando solo al mio benessere immediato, oggi o al massimo domani”.
Dico questo perché l’ennesimo fronte di conflitto apertosi in Medio Oriente con la crisi tra Israele e Iran non è qualcosa distante da noi ma può coinvolgerci, anzi succederà, concretamente e quindi poi quando succederà non stupirsi e dire “non potevamo immaginarlo”,
Un esempio? Parliamo solo del Canale di Hormuz. Lo Stretto è una rotta fondamentale per il trasporto marittimo globale. Per Esmail Kosari, membro della commissione parlamentare per la sicurezza di Teheran, la chiusura dello Stretto di Hormuz è oggetto di seria valutazione da parte dell’Iran. “Le nostre mani sono aperte quando si tratta di punire il nemico, e la risposta militare è solo una parte della nostra risposta complessiva”, ha aggiunto Kowsari, che oltre a ricoprire una carica militare è anche membro del parlamento. I missili iraniani a corto e medio raggio sarebbero in grado di colpire le piattaforme delle infrastrutture petrolifere, possono attaccare le navi commerciali e gli oleodotti nello Stretto, mentre i missili di superficie potrebbero colpire le petroliere o i porti lungo il Golfo. Gli attacchi aerei e i droni potrebbero disattivare le apparecchiature di navigazione o i radar nei principali porti della regione.
Secondo uno studio della JP Morgan se l’Iran dovesse bloccare il passaggio, i prezzi potrebbero arrivare a 120/170 dollari al barile con conseguenze molto importanti sulla vita quotidiana di molte persone a livello globale. Significa, allo stesso tempo, ritardo significativo delle importazioni europee di materie prime, di beni quali petrolio, derivati, gas, elettronica e beni di consumo, con ripercussioni sulle catene di approvvigionamento e l’aumento, elevato, dei costi dovuti al cambio delle rotte, che vedrebbero schizzare, per esempio, i premi assicurativi per il trasporto marittimo, facendo chiaramente lievitare i costi per le imprese e i consumatori europei. Questo sarà se succede ed è bene parlarne e prepararsi.
Lo Stretto di Hormuz è il punto chiave della regione, sia perché costituisce il passaggio fra i due Golfi, all’interno del Mare Arabico, ovvero il Golfo dell’Oman, compreso fra la costa dell’Oman e quella più meridionale dell’Iran, e il Golfo Persico. Dallo Stretto passa circa il 30% del petrolio mondiale e si estende per 563 chilometri, arrivando a una larghezza massima di 325 chilometri, parliamo di un braccio di mare, un po’ più largo e un po’ meno lungo dell’Adriatico. È chiaro la posizione strategica dell’area, dove si potrebbe giocare, come già accaduto in passato, una pericolosa ’guerra ibrida’ e non solo perché rappresenta il crocevia mondiale del petrolio via nave, ma viene attraversato in media da oltre 25 milioni di barili quotidianamente. Proprio al costo del petrolio guarda l’economia mondiale, i mercati però temono soprattutto l’eventuale rappresaglia dell’Iran su questo specifico Stretto e quindi la sua chiusura, mai avvenuta storicamente, visto che attraverso il canale transita tutto il petrolio diretto dal Golfo Persico agli importatori nel mondo comprese le esportazioni di Gnl dal Qatar e dall’Oman. Lo scorso anno, all’acuirsi delle tensioni fra i due Paesi, gli esperti avevano ipotizzato che un blocco totale avrebbe fatto schizzare il petrolio oltre i 200 dollari.
Ma è importante ricordare che dallo Stretto di Hormuz non passa solo il greggio, ma anche, come dicevo, cargo carichi di gas naturale liquefatto che dal Qatar vanno in Europa, nel Medio Oriente asiatico e in Cina. E proprio Pechino, che è la seconda economia al mondo dopo gli Stati Uniti, è un grande acquirente di petrolio iraniano (circa 1,5 milioni di barili al giorno). Se tali forniture dovessero interrompersi, la Cina sarebbe costretta a rifornirsi altrove, a prezzi più alti con conseguenze a catena per l’inflazione globale. Quindi è chiaro che lo Stretto di Hormuz non è qualcosa distante dalle nostre vite e quotidianità. Un’improvvisa impennata del prezzo del petrolio farebbe aumentare l’inflazione e i costi ed energetici, oltre a sconvolgere le industrie in tutta Europa, dove i settori dei trasporti, dell’agricoltura e del manifatturiero, risulterebbero particolarmente vulnerabili. Le reazioni dei mercati e la volatilità delle borse europee potrebbero avere un effetto a catena, e il tutto in un momento storico già pesante per i tanti teatri di guerra aperti nel mondo, per la scarsa crescita economica dei nostri Paesi e per l’instabilità accelerata anche dalla crisi dei dazi.
Inoltre, e non per ultimo, il tutto può acuire una escalation militare.
Un blocco potrebbe innescare scontri militari che coinvolgerebbero gli Stati Uniti, le marine dell’Ue e gli Stati del Golfo, con il rischio di una guerra regionale più vasta, l’Europa potrebbe essere coinvolta nel conflitto a causa degli obblighi o delle alleanze della Nato, soprattutto se Paesi come la Francia o il Regno Unito mantengono una presenza navale nella regione, (senza dimenticare che l’Italia ha partecipato a una missione navale di sorveglianza nello Stretto di Hormuz, denominata Emasoh, conclusasi nel giugno dello scorso anno).
Come affermato dal nostro Ministro della Difesa Guido Crosetto al Corriere della Sera, “lo Stretto di Hormuz sarà uno dei punti critici, nelle prossime settimane, ma anche a medio-lungo termine la situazione può avere conseguenze importanti, incluso un aumento del rischio di attacchi terroristici”.
A chi converrebbe la chiusura dello Stretto? Beh, la federazione Russa sarebbe uno dei sicuri vincitori principali, infatti Putin a quel punto potrebbe vendere il petrolio a prezzo più alto.
Prepariamoci quindi per tempo alle contromisure e non attardiamoci sulla continua e dannosa distrazione di massa.