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Spadolini e il partito della ragione, tra idee e istituzioni. Il ricordo di Dini

Di Lamberto Dini

Pubblichiamo la prefazione di Lamberto Dini, già presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e direttore generale della Banca d’Italia, al volume “Giovanni Spadolini. L’ultimo politico risorgimentale” (Rubbettino) di Federico Bini e Giancarlo Mazzuca uscito il 13 giugno in libreria in occasione del centenario della nascita del 21 giugno del grande statista fiorentino

La figura e l’opera di Giovanni Spadolini mi hanno sempre colpito molto e hanno contribuito a stimolare la mia curiosità intellettuale. Specie alla ricerca dei precedenti di quel cammino liberaldemocratico che ho sempre ritenuto indispensabile per il Paese. Un itinerario di valori di cui Giovanni Spadolini ha scolpito e mostrato tappe e figure meglio di chiunque altro. Un libro, quello di Federico Bini, che illustra al meglio, in modo plastico ed incisivo, e senza troppi fronzoli come e quanto il grande Direttore e Professore fiorentino abbia contribuito al racconto degli “Uomini che fecero l’Italia”. Nel quadro di un cammino risorgimentale che sarebbe per molti versi inesplorato o estremamente parziale senza il contributo di Spadolini.  Un percorso quest’ultimo che ebbe come snodo imprescindibile quel riferimento fondamentale, verso cui evidenziò sempre un “debito” profondo, che fu Piero Gobetti. Si tratta però di un panorama di figure e di idee che Spadolini indagò con una visione mai chiusa e settaria, che ha sempre saputo cogliere il lato positivo dei diversi protagonisti di questi filone di pensiero. Con un approccio che potremmo definire di un “liberalismo ecumenico e sincretico”, sintesi tra la tradizione del Risorgimento e il fermento della stagione delle grandi saghe giornalistiche italiane del primo novecento (da La Voce di Prezzolini e Papini a Il Mondo di Pannunzio). Spadolini, inoltre, fu sempre alla ricerca di quel mai abbastanza emerso “Partito della Ragione” e “Partito della democrazia”, e poi successivamente di quella “Terza Forza” che è stata un obiettivo e un cruccio fondamentale della sua “certa idea dell’Italia” e della politica. Per me, che, dopo le esperienze americane, venivo dal crogiolo della Banca d’Italia, la figura di riferimento intellettuale principale come grande studioso, grande liberale, grande indagatore dei sentieri della libertà è sempre stata Luigi Einaudi, che della Banca d’Italia era stato nel primo dopoguerra un autorevole governatore. Ma ho sempre sentito dentro di me un’impronta di persona con una marcata formazione internazionale, ma con forti radici fiorentine. L’attrazione verso Spadolini veniva ,quindi, anche dal fatto che il Professore fosse stato tra l’altro un grande fiorentino. Oltre che l’ultimo Presidente del Consiglio fiorentino prima di me. Lui nel 1981 io nel 1995. Come mi ricordavano spesso, del resto, persone che avevano avuto un ruolo chiave nel mio governo del 1995, come una grande personalità istituzionale e intellettuale come Guglielmo Negri (di cui quest’anno ricorrerà il 25° dalla scomparsa) e Luigi Tivelli. La mia attrazione e curiosità intellettuale verso la figura di Giovanni Spadolini, infatti, si sviluppò man mano anche grazie ai racconti del professor Guglielmo Negri dello Spadolini giovane professore fiorentino e di Luigi Tivelli.  Ricordo bene che Luigi Tivelli – che spesso mi raccontava come fossero vere e proprie “lezioni” e apprendimenti importanti quando si aggiungeva alla lunga tavola di Giovanni Spadolini al ristorante da Fortunato al Pantheon – mi evidenziò che Spadolini come presidente del Consiglio fu l’unico a chiedere il voto di fiducia iniziale sulla base di una “mozione motivata di fiducia” alle Camere. Una mozione che indicava i paletti in cui il Parlamento indicava al governo, su proposta di questo, le tappe e gli snodi fondamentali dell’azione dell’esecutivo. Quella analogia, quella affinità di una “traccia” per l’itinerario del cammino di governo mi indusse ancora a più a riflettere sulla figura di Spadolini. Lui con il suo governo, come emerge dal libro, fu chiamato a rispondere alle varie emergenze (quella morale, quella istituzionale e quella economica) in qualità di primo presidente del Consiglio laico e non democristiano. Un ruolo che gli garantiva un punto di equilibrio e imparzialità in più. Fu a partire da quella fase però che man mano, lieto e onorato di aver avuto un predecessore fiorentino di questo livello a Palazzo Chigi scoprivo che insieme a Luigi Einaudi, Spadolini è stato lo statista che ha rappresentato il più felice matrimonio tra politica e cultura della storia repubblicana. Con una differenza fondamentale però. Mentre Einaudi le funzioni istituzionali le aveva svolte da un ruolo super partes  nonostante il suo impegno nel Partito Liberale, Spadolini ha saputo portare il sangue della cultura anche nelle differenti funzioni di governo svolte. Tanto con il suo esordio come ministro dei beni culturali (in cui ha varato la legge istituiva di quel ministero), quanto come ministro della pubblica istruzione, presidente del Consiglio, ministro della difesa e presidente del Senato.

Ricordo che resi una visita molto intensa e motivante per me a quello stupendo compendio che è Pian de giullari. Una struttura che ruota attorno alla Villa dei libri di Giovanni Spadolini a Firenze oggi sede della Fondazione Spadolini. Man mano che insieme a Tivelli eravamo accompagnati dall’ottimo e documentatissimo Cosimo Ceccuti, mentre passavo da una teca all’altra delle librerie di quel compendio culturale, mi capitava di riflettere sull’ultimo passaggio della vita politica e istituzionale di Giovanni Spadolini. Quell’elezione del presidente Senato nella primavera del 1994 che segnò sostanzialmente il passaggio dalla Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica.  Un’elezione all’arma bianca con un conteggio e riconteggio dei voti profondamente aspro. Dove Spadolini, che era stato un autorevolissimo ed ottimo presidente del Senato, fu sconfitto per solo un voto da Scognamiglio. Ricordo che affidai a un Tivelli, come al solito curioso, attento e reattivo e a un interessatissimo Ceccuti la mia riflessione secondo cui quella elezione aveva segnato, in fondo, l’atto di nascita del “bipolarismo muscolare all’italiana”. Eleggere Spadolini avrebbe, infatti, significato un diverso senso istituzionale e una diversa apertura, quando necessario, alle politiche bipartisan. Un’occasione mancata. Mi sembra dunque che la rilettura della figura di Spadolini oltre ad aiutarci nel ripercorrere la storia degli uomini e delle idee che fecero l’Italia, il cammino del miglior pensiero liberale e liberaldemocratico, ci aiuta anche a ripercorrere tappe istituzionali fondamentali di quel passaggio alla Seconda Repubblica di cui lo statista repubblicano, scomparso troppo presto a 70 anni, poté vedere solo gli albori. I lettori potranno, quindi, tramite questo libro denso, colto, che accompagna il lettore senza eccessi, erudizioni o digressioni inutili, e che racchiude al meglio il vero senso, significato e apporto della figura di Spadolini, ritrovare anche con equilibrio e imparzialità questi aspetti più o meno esplicitati tra le maglie del libro.


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