Le bombe americane sui siti nucleari iraniani segnano la fine della diplomazia e l’inizio di una nuova era di confronto militare diretto che ridefinisce gli equilibri mondiali. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi
Nella notte tra sabato 21 e domenica 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno compiuto un passo senza precedenti nella loro storia moderna: l’attacco diretto alle infrastrutture nucleari iraniane. L'”Operazione Midnight Hammer” rappresenta un punto di svolta geopolitico che ridefinisce gli equilibri del Medio Oriente e inaugura una nuova fase del confronto occidentale con la Repubblica Islamica.
L’operazione militare: precisione e potenza
L’attacco americano ha coinvolto una delle più imponenti forze aeree mai impiegate in una singola operazione. Sette bombardieri B-2 Spirit sono decollati dal Missouri, compiendo un volo di 18 ore per raggiungere i tre obiettivi principali: Fordow, Natanz e Isfahan. L’operazione ha utilizzato 14 bombe bunker-buster GBU-57 da 14 tonnellate – le più potenti del mondo – specificamente progettate per penetrare strutture sotterranee fortificate. Oltre 125 aerei militari hanno partecipato alla missione, mentre un sottomarino ha lanciato più di 30 missili Tomahawk contro Isfahan.
A supporto dell’operazione, gli Stati Uniti avevano già posizionato un’imponente forza navale nella regione. La USS Nimitz, proveniente dal Mar Cinese Meridionale, aveva raggiunto la zona di operazioni proprio nel weekend dell’attacco, unendosi alla USS Carl Vinson già presente nel Golfo Persico dal mese di aprile. La presenza simultanea di due portaerei americane nel teatro mediorientale – una concentrazione di potenza navale raramente vista – ha fornito la piattaforma ideale per sostenere l’operazione notturna e garantire la supremazia aerea necessaria.
Il sito di Fordow, considerato il cuore del programma nucleare iraniano e costruito a 90-100 metri di profondità sotto una montagna, è stato il bersaglio principale. Le immagini satellitari mostrano danni significativi agli accessi della struttura sotterranea, probabilmente compromettendone l’operatività. Trump ha dichiarato che i siti sono stati “completamente obliterati”, anche se fonti militari offrono valutazioni più caute sui risultati effettivi.
Le reazioni immediate e le contromisure occidentali
L’Iran ha risposto lanciando 40 missili contro Israele nella mattinata di domenica, alcuni dei quali hanno superato le difese israeliane colpendo aree residenziali di Tel Aviv. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha denunciato l’attacco come una “grave violazione del diritto internazionale” e ha minacciato “conseguenze durature”. Il Parlamento iraniano ha approvato la chiusura dello Stretto di Hormuz, misura che necessita ancora dell’approvazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Le reazioni internazionali evidenziano la frattura geopolitica: mentre Israele celebra l’intervento americano come “storico”, Russia e Cina condannano fermamente l’operazione. L’Unione Europea invoca la de-escalation, mentre i Paesi del Golfo mantengono un profilo cauto, temendo ritorsioni iraniane sui loro impianti petroliferi.
Di fronte alla minaccia di ritorsioni iraniane, gli Stati Uniti e gli alleati hanno attivato misure precauzionali senza precedenti. Washington ha ordinato l’evacuazione del personale non essenziale dalle ambasciate in Iraq, Bahrein, Kuwait e Israele, mentre ha autorizzato la “partenza volontaria” dei familiari del personale militare da tutte le basi del Comando Centrale americano nella regione. L’ambasciata americana di Gerusalemme è rimasta chiusa per tutta la settimana, mentre voli governativi hanno già evacuato diplomatici e familiari da Israele. Il Regno Unito e la Germania hanno seguito l’esempio americano, riducendo il personale nelle loro rappresentanze diplomatiche regionali.
L’Italia, con oltre mille soldati schierati in Libano nella missione Unifil e 1.100 militari in Iraq, ha adottato misure precauzionali significative. Come confermato dal ministro degli Esteri Tajani, una parte del contingente italiano è stata trasferita dall’Iraq al Kuwait “per motivi di sicurezza”, in particolare i carabinieri che si trovavano nei pressi dell’aeroporto di Baghdad. Il riposizionamento alla base aerea “Castra Praetoria” di Ali al-Salem rappresenta una misura prudenziale già adottata in passato durante momenti di alta tensione regionale, senza tuttavia modificare il quadro operativo complessivo delle missioni “Prima Parthica” e Nato Mission Iraq.
Conseguenze geopolitiche e scenari futuri
L’attacco americano segna la fine dell’era del contenimento diplomatico dell’Iran e l’inizio di una strategia di confronto militare diretto. Per la prima volta dal 1979, gli Stati Uniti hanno colpito direttamente territorio iraniano, rompendo un tabù che durava da oltre quattro decenni. Questo precedente ridefinisce le regole del gioco nel Medio Oriente, dove l’egemonia militare americana viene riaffermata con forza incontestabile, ma rappresenta senza alcun dubbio un rischio per l’intera stabilità dell’area.
Per l’Iran, l’attacco rappresenta un’umiliazione strategica che mette in discussione la credibilità del regime. Il programma nucleare, simbolo dell’indipendenza e del prestigio nazionale, è stato gravemente compromesso davanti agli occhi del mondo. La leadership di Teheran si trova ora di fronte a una scelta cruciale: capitolare diplomaticamente o rispondere militarmente, rischiando una escalation che potrebbe minacciare la sopravvivenza stessa del regime, ma anche potenziali spiralizzazioni della crisi.
Le opzioni iraniane: un ventaglio di risposte pericolose
L’Iran dispone di diverse opzioni di rappresaglia, tutte gravide di conseguenze. La prima e più probabile è l’attacco alle basi militari americane nella regione – dalla Quinta Flotta in Bahrein alle installazioni in Qatar, Arabia Saudita e Iraq. Con migliaia di soldati americani nel raggio dei missili iraniani, una rappresaglia potrebbe causare vittime significative, scatenando un’escalation incontrollabile.
La seconda opzione è la chiusura dello Stretto di Hormuz, attraverso cui transita il 20-30% del petrolio mondiale. Questa mossa creerebbe una crisi energetica globale, ma esporrebbe l’Iran a ulteriori bombardamenti americani. Teheran potrebbe anche attivare la sua rete di proxy – dai miliziani iracheni agli Houthi yemeniti – per condurre attacchi asimmetrici contro interessi occidentali e israeliani.
La carta più pericolosa è quella del terrorismo internazionale. L’intelligence occidentale teme l’attivazione di “cellule dormienti” iraniane per colpire obiettivi americani ed europei, dalle ambasciate ai luoghi di culto ebraici. Un’ondata terroristica globale rappresenterebbe l’escalation più temibile, trasformando il conflitto regionale in una minaccia mondiale.
Verso un nuovo ordine mediorientale
L’Operazione Midnight Hammer inaugura una nuova era geopolitica in cui la deterrenza nucleare viene sostituita dalla prevenzione militare. Questa dottrina dell’attacco preventivo, tuttavia, solleva profonde questioni di legittimità internazionale. L’azione unilaterale americana contro le infrastrutture nucleari iraniane – condotta senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza Onu e contro un Paese che non aveva attaccato direttamente gli Stati Uniti – rappresenta una pericolosa erosione del diritto internazionale. Il precedente stabilito rischia di legittimare future azioni preventive da parte di qualsiasi potenza che percepisca una minaccia, aprendo la strada a un mondo in cui la forza sostituisce il multilateralismo diplomatico.
L’Iran, privato delle sue ambizioni atomiche, potrebbe essere costretto a rivedere la sua strategia regionale, abbandonando il ruolo di potenza egemone sciita. Questo riequilibrio favorisce Israele e i Paesi arabi sunniti, potenzialmente aprendo nuove opportunità per gli Accordi di Abramo.
Tuttavia, il rischio di una guerra regionale rimane elevato. L’Iran potrebbe scegliere la strada della resistenza a oltranza, trascinando il Medio Oriente in un conflitto devastante. La prossima settimana sarà cruciale: la risposta di Teheran determinerà se l’attacco americano ha davvero neutralizzato la minaccia iraniana o ha solo acceso la miccia di una conflagrazione più ampia.
In questo scenario, l’Europa si trova stretta tra la solidarietà atlantica e il timore di un’escalation che potrebbe colpire anche il continente. La partita geopolitica è appena iniziata, e i suoi esiti ridisegneranno gli equilibri mondiali per i decenni a venire.