Oggi l’incontro di apertura del Nato Public Forum che accompagna il Summit del 24-25 giugno all’Aja, organizzato congiuntamente da governo olandese, Alleanza e attori della società civile e che vede Formiche come official media partner. L’intervento del segretario Rutte ha offerto un’occasione di riflessione strategica su una fase cruciale della trasformazione della Nato e sui possibili sviluppi che seguiranno nei successivi due giorni
Aprendo i lavori del Nato public Forum, organizzato dall’Alleanza Atlantica all’Aja, congiuntamente al Summit, è intervenuto oggi il segretario generale Mark Rutte, in un dialogo con Benedikt Franke, vice-chairman & chief executive officer della Munich Security Conference, tracciando la direzione da seguire durante i due giorni di Summit previsti.
La direzione da seguire secondo Rutte
Il primo elemento che emerge è la ridefinizione del concetto di deterrenza: non più affidata soltanto alla dimensione nucleare o al numero delle truppe, ma sempre più legata alla resilienza industriale, alla capacità produttiva e alla flessibilità tecnologica. A guidare questa svolta sono state le dichiarazioni politiche di diversi Paesi, sottolinea Rutte: “La Germania ha annunciato l’intenzione di raggiungere il 3,5% del Pil in spesa per la difesa già entro il 2029, aprendo la strada a un futuro incremento fino al 5%. Anche Svezia e Norvegia hanno confermato il crescente impegno per raggiungere questo obiettivo nei prossimi anni”. In questa nuova fase, il messaggio è chiaro: non si tratta solo di reagire alla Russia, ma di costruire una postura difensiva in grado di affrontare qualunque minaccia, convenzionale o non convenzionale.
L’industria della difesa
Il secondo asse di trasformazione riguarda l’industria della difesa. Dopo anni di incertezza e sottofinanziamento, l’industria sa ora con precisione su cosa concentrarsi: droni, nuove tecnologie, capacità di difesa aerea, “ma soprattutto munizionamento” che, come affermato dal segretario Rutte nel suo discorso di apertura del Public Forum, “riflette un’urgenza concreta”: senza una base solida di produzione di munizioni, ogni strategia di difesa resta inefficace. Ma la questione non è solo quantitativa: “La Nato intende favorire una nuova integrazione industriale tra alleati, superando le barriere normative e produttive. Turchia, Regno Unito, Norvegia e altri Paesi europei sono chiamati a collaborare in maniera più stretta”, “evitando ridondanze e colli di bottiglia”, ha poi sottolineato Rutte. In parallelo, l’industria ucraina viene vista come un elemento da rafforzare, affinché possa garantire una sempre maggiore autosufficienza e contribuire anche alla resilienza collettiva dell’area euro-atlantica. L’idea è quella di un vero ecosistema produttivo Nato, distribuito e interconnesso, che riduca le dipendenze e assicuri continuità logistica nel medio e lungo termine.
Gli Usa, l’Europa, la Nato
Il terzo tema emerso con forza riguarda la sostenibilità politica e strategica della postura dell’Alleanza. Gli Stati Uniti restano impegnati nel sostegno all’Ucraina e nel rafforzamento della Nato, ma la loro aspettativa verso gli alleati europei è chiara: maggiore coerenza negli investimenti, una condivisione del carico più equa e un allineamento sugli obiettivi comuni. Come sottolineato da più rappresentanti americani, non si tratta solo di un obbligo morale o di un principio di solidarietà, ma di una necessità fondata su dati concreti. La difesa dell’Europa non può essere garantita a lungo termine senza un significativo contributo europeo. La credibilità della deterrenza passa anche dalla volontà politica di investire nella sicurezza. In questo quadro, il sostegno all’Ucraina non è percepito come un impegno indefinito, ma come uno sforzo volto a mettere Kyiv nella posizione più solida possibile per negoziare. La Nato sta imparando molto dal conflitto in Ucraina, non solo in termini tattici e tecnologici, ma anche in termini di adattamento organizzativo e di interoperabilità operativa.
Le prossime sfide
L’Alleanza atlantica estende inoltre il proprio sguardo alle sfide che emergono sul fianco sud e a est del sistema internazionale. La crescente influenza cinese e russa in Africa si somma all’espansione economico-militare della Cina nell’Indo-Pacifico. In molte aree, Pechino sembra essere già più strutturata, radicata e penetrante rispetto a Mosca. Per questo la Nato mira a rafforzare le sue capacità di risposta non solo contro le guerre visibili, ma anche contro le minacce ibride e le disruptive challenges: cyberattacchi, sabotaggi alle infrastrutture critiche come i cavi sottomarini, disinformazione, manipolazione ed utilizzo coercitivo dei flussi migratori. L’approccio richiesto è multilivello: dalla protezione digitale al rafforzamento della logistica, dalla formazione alla cyber resilience. Fondamentale in questo quadro è anche la velocizzazione delle procedure decisionali e burocratiche, spesso indicate come un collo di bottiglia in grado di rallentare reazioni tempestive. Infine, l’apertura del forum ha sottolineato l’importanza crescente dell’ambiente cyber, dove la Nato intende combinare competenze militari e civili per costruire un ecosistema difensivo capace di rispondere a minacce sistemiche e prolungate. La sicurezza collettiva non è più una funzione lineare del numero di tank o di jet, ma una risultante complessa che coinvolge capacità digitali, industriali e politiche. Per salvaguardare la democrazia non basta difenderla sul piano interno: serve una postura proattiva anche sul piano della sicurezza, con cittadini consapevoli del valore dell’investimento in difesa.