Recenti attacchi a installazioni iraniane non hanno visto una risposta militare da parte di Hezbollah, che ha preferito limitarsi a dichiarazioni di solidarietà. La scelta riflette vulnerabilità strategiche e l’attuale priorità del gruppo: la propria sopravvivenza. L’analisi di Antonio Teti, professore dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara
Negli ultimi giorni, un pesante attacco congiunto dagli Stati Uniti e Israele ha colpito varie installazioni nucleari iraniane (tra cui Fordow, Natanz e Isfahan). Nonostante le forti dichiarazioni di solidarietà da parte di Hezbollah nei confronti dell’Iran, il gruppo libanese non ha reagito con offensive concrete. Ha scelto di rimanere militarmente passiva, affidandosi alla retorica e ai gesti simbolici piuttosto che all’impegno diretto. Una calcolata moderazione che sottolinea le vulnerabilità strategiche dell’organizzazione, riconducibili alle opposizioni interne, alle battute d’arresto operative e alla profonda dipendenza dal sostegno iraniano. La domanda centrale ora è se Hezbollah sceglierà di partecipare in qualche modo al conflitto o se rimarrà concentrata sulla propria sopravvivenza.
Indiscutibilmente, Hezbollah è emerso profondamente indebolito dalla guerra del 2024 contro Israele, che ha causato gravi perdite sia di leadership militare sia infrastrutturali sul suo territorio. Appare essenzialmente concentrato sulla difesa della propria legittimità pubblica (sia tra l’opinione pubblica generale che presso la sua base sciita) e sulla proiezione di un’immagine di resilienza. Le sue capacità militari e la sua reputazione interna si sono indebolite a causa del conflitto con Israele, dalla morte del suo leader, Hassan Nasrallah, e di altri comandanti di alto rango, e dei gravi danni subiti dalla sua infrastruttura di comando e controllo. Politicamente, il gruppo ha anche subito alcune battute d’arresto, tra cui l’incapacità di assicurarsi il suo candidato presidenziale preferito e la crescente forza delle fazioni politiche rivali in Libano. Come naturale conseguenza, l’attuale narrativa dominante nella retorica di Hezbollah tende ad enfatizzare l’unità nazionale e la fermezza civile piuttosto che la resistenza armata. In breve, Hezbollah ha scelto la moderazione, perché riconosce che la sua attuale posizione strategica e militare non riuscirebbe in alcun modo a supportare un’escalation.
Va evidenziato, altresì, che il Libano è afflitto da una crisi economia rilevante e da una crescente instabilità, ed il cessate il fuoco negoziato nel 2024 con Israele ha realizzato le condizioni per una diminuzione degli attriti tra i due paesi. Lo stesso governo libanese, sostenuto anche da una sostenuta pressione internazionale, ha fornito un forte avvertimento ai vertici di Hezbollah: nessuna azione militare deve partire dal territorio libanese. Tale ammonimento è stato rispettato, almeno finora. Gli Stati Uniti e Israele hanno finanche ribadito che un intervento da parte di Hezbollah aggraverebbe fortemente la situazione. Il diplomatico americano Thomas Barrack ha avvertito che sarebbe “una scelta molto, molto sbagliata” se Hezbollah decidesse di entrare in guerra.
Quella che potrebbe sembrare una sorprendente moderazione di Hezbollah nell’entrare attivamente nel conflitto, nonostante la retorica e le dichiarazioni a favore e in difesa dell’Iran, si basa essenzialmente su tre fattori fondamentali: in primo luogo i vincoli interni e mancanza di legittimità. L’orientamento libanese di Hezbollah rimane un limite significativo. La situazione politica e sociale interna in Libano non è di fatto cambiata: il gruppo non possiede quella legittimità interna che gli possa consentire di lanciare una guerra su vasta scala contro Israele. Qualsiasi mossa del genere non farebbe che rafforzare la critica secondo cui Hezbollah opera esclusivamente come rappresentante dell’Iran, agendo perfino contro gli interessi nazionali libanesi. In secondo luogo, i limiti operativi. Le attuali capacità militari di Hezbollah non gli consentono minimamente di aprire un nuovo fronte con Israele. Ogni tentativo di ricostruire la sua infrastruttura operativa militare annega in funzione degli attacchi israeliani condotti contro le sue strutture e il suo personale, che Israele giustifica come violazioni dell’accordo di cessate il fuoco. Va evidenziato che tali operazioni sono state condotte parallelamente alle operazioni israeliane in Iran e a Gaza, scoraggiando ulteriormente Hezbollah da un’escalation. Il terzo fattore limitante è lo stato delle relazioni tra Hezbollah e l’Iran, in particolare per quanto riguarda il supporto finanziario e logistico. Dopo il cessate il fuoco, la capacità dell’Iran di supportare militarmente Hezbollah è stata fortemente limitata (a causa della chiusura delle rotte aeree e terrestri). I finanziamenti promessi non si sono pienamente concretizzati e Hezbollah non è riuscito a rispettare gli impegni postbellici nei confronti della popolazione sciita del Libano meridionale, ad esempio risarcire le famiglie le cui case sono state distrutte. Nonostante queste limitazioni, va evidenziato che persistono diversi segnali di un coordinamento in corso tra i due paesi. Nei giorni precedenti l’attacco israeliano all’Iran, il Ministro degli Esteri iraniano ha incontrato il Segretario Generale Sheikh Naim Qassem, riaffermando l’allineamento strategico tra i due attori. Ciononostante, il cosiddetta “Asse della Resistenza” (Iran, Hezbollah, Hamas, milizie sciite) appare oggi appare fortemente traballante e molto poco coesa. Molti attori – ad esclusione degli Houthi in Yemen – mostrano stanchezza e priorità alla sopravvivenza del proprio contesto interno piuttosto che un interesse verso la progettazione di operazioni coordinate su vasta scala. Finché l’Iran non sarà direttamente minacciato in modo insostenibile, Hezbollah continuerà a limitarsi all’appoggio verbale, evitando azioni che potrebbero causare un’escalation.
La mancata partecipazione attiva di Hezbollah a sostegno dell’Iran durante l’attacco dei giorni scorsi potrebbe produrre conseguenze profonde sia a livello strategico regionale che nei rapporti interni al cosiddetto “Asse della Resistenza”. Primo tra tutti, il suo indebolimento. Se Hezbollah è storicamente il braccio armato più efficace e disciplinato dell’alleanza guidata dall’Iran (assieme a Hamas, alle milizie sciite irachene, agli Houthi yemeniti), il suo “silenzio operativo” di fatto produce un impatto sull’immagine di coordinamento tra i diversi membri dell’asse, oltre a ridurre l’effetto deterrente verso Israele e Stati Uniti, esponendo Teheran all’isolamento in caso di futuri attacchi. A sua volta, Teheran potrebbe percepire Hezbollah come meno affidabile in caso di guerra totale, generando ulteriori frizioni sotterranee. Sul piano tattico, Hezbollah agli occhi di altri gruppi radicali (come Hamas o PIJ), il gruppo potrebbe sembrare meno combattivo o solidale, e come naturale conseguenza, nel mondo arabo, alcuni alleati potrebbero mettere in discussione la sua centralità nella causa antisraeliana. Al tempo stesso Israele potrebbe cogliere l’occasione per intensificare attacchi mirati in Siria o in Libano, percependo un Hezbollah più passivo, e per frammentare ulteriormente il fronte antisraeliano, magari cercando di isolare il gruppo terroristico con pressioni internazionali o divisioni locali. In conclusione, la mancata azione di Hezbollah rappresenta un segnale particolarmente importante: l’Asse della Resistenza non è più un blocco compatto e reattivo come un tempo, e ciò potrebbe condurre ad un progressivo disallineamento strategico, a nuove dinamiche di leadership regionale e ad una riformulazione delle alleanze nei prossimi mesi.