La crescente convergenza tra Ccg e Brics non è soltanto questione di interessi strategici: è una necessità di civiltà. Le popolazioni più vaste e i cittadini più giovani del pianeta vivono oggi tra Asia e Africa. È lì che si negozierà il futuro
Non stiamo vivendo un semplice momento di crisi, ma un vero e proprio scontro di civiltà. Tuttavia, non si tratta solo di un conflitto geopolitico: è una crisi profondamente esistenziale. Al centro, l’umanità è alle prese con una crisi d’identità, una crisi di senso, che poi si riversa nella politica, nelle relazioni internazionali e nelle istituzioni. La regione indo-mediterranea — che si estende dal Medio Oriente al subcontinente indiano — resta la culla di questo perdurante scontro tra civiltà.
Questa regione ospita le radici della maggior parte delle grandi religioni mondiali. Il cristianesimo è nato in quella che oggi chiamiamo Israele e Palestina. Giudaismo, islam, induismo, buddhismo, giainismo e sikhismo sono emersi anch’essi in questo corridoio geografico. Anche lo zoroastrismo, un tempo fiorente in Iran, è stato gradualmente sostituito dalle tradizioni sciite. Questi lasciti religiosi e spirituali continuano a definire i fondamenti culturali, filosofici e politici della nostra società globale.
Tuttavia, oggi assistiamo a una frammentazione di queste tradizioni. L’islam, pur essendo nato in Arabia Saudita, conta oggi la maggior parte dei suoi fedeli nel subcontinente indiano — Pakistan, India e Bangladesh — e in Indonesia, il più grande paese a maggioranza musulmana del mondo, ben lontano dal Medio Oriente. L’islam stesso è attraversato da una profonda crisi istituzionale, in particolare nella sua tradizione sunnita. A un secolo dall’abolizione del califfato, il mondo musulmano fatica a ridefinirsi dall’interno — tra una maggioranza moderata e una minoranza radicale che, come spesso accade, grida più forte, agisce più violentemente e domina la narrazione globale.
In mezzo a questa confusione spirituale e istituzionale si erge il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), una coalizione di Stati arabi che, in molti modi, funge da protettore e riformatore del mondo islamico. I paesi del Ccg, in particolare Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar, si stanno sempre più posizionando come fattori di stabilizzazione non solo nella loro regione, ma anche nell’insieme dello spazio indo-mediterraneo e africano. La loro crescente influenza in paesi africani come Sudan e Somalia evidenzia il loro ruolo in evoluzione come attori geopolitici e intermediari culturali.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembrava intuire questa realtà in modo istintivo. Il suo primo viaggio all’estero da presidente fu proprio negli Stati del Golfo, a testimonianza del riconoscimento — strategico o simbolico — che il futuro dell’islam e, per estensione, della stabilità globale, si giocherà in parte in seno al Ccg. La sua diplomazia, controversa ma significativa, è meno un’eccezione e più uno specchio della crisi d’identità collettiva del mondo democratico. In democrazia, del resto, i leader spesso riflettono la coscienza — o l’inconscio — politico delle società che li eleggono.
Mentre l’attenzione internazionale continua a concentrarsi sul conflitto israelo-palestinese, la trasformazione in corso nel Golfo — e il suo impatto sul Sud globale — merita un’analoga considerazione. Il centro demografico del mondo si è spostato. Non si trova più negli Stati Uniti o in Europa, ma tra Africa e Asia, tra società più giovani, più numerose e spesso senza voce, che costituiscono il Sud globale.
In questo contesto, l’emergere e l’evoluzione dei Brics — una coalizione che unisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica — diventano rilevanti. Pur apparendo contraddittorio, dati i vasti divari nei sistemi politici, ideologici e strutture economiche, questo gruppo ha resistito ed è cresciuto. Paesi come gli Emirati Arabi Uniti vi hanno aderito, e l’Arabia Saudita è stata invitata. I Brics forse non rappresentano un blocco ideale o coerente, ma stanno diventando una piattaforma dove il Sud globale cerca visibilità e voce.
La partecipazione dell’India ai Brics riflette la sua ricerca di una “autonomia strategica”. Tenta di mantenere un equilibrio: interagire con potenze talvolta ideologicamente opposte o ostili, pur salvaguardando i suoi valori democratici e la coesione interna. L’esperienza indiana nei forum multilaterali — come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, dove recentemente ha incontrato il silenzio a seguito di un attacco terroristico subito — evidenzia i limiti di tali alleanze. Eppure l’India persiste, non come potenza egemonica, ma come voce del Sud globale.
È questa la differenza fondamentale tra India e Cina all’interno dei Brics. Mentre la Cina cerca di guidare, l’India mira a rappresentare. E in questo sforzo, i legami civili tra India e Ccg diventano fondamentali. Con oltre 250 milioni di musulmani, l’India mantiene relazioni profonde, durature e per lo più pacifiche con i paesi del Golfo. Si tratta di legami non solo economici o migratori, ma fondati su una storia comune e un’affinità culturale. È un rapporto destinato a durare.
Mentre i Brics riflettono su sistemi finanziari alternativi, come l’abbandono del dollaro statunitense, occorre ricordare che la maggior parte dei paesi membri è ancora impegnata a garantire la sopravvivenza di base a larghe fasce della propria popolazione. Tali iniziative, per quanto simbolicamente forti, difficilmente avranno successo se non radicate nella realtà vissuta del Sud globale.
In ultima analisi, la crescente convergenza tra Ccg e Brics non è soltanto questione di interessi strategici: è una necessità di civiltà. Le popolazioni più vaste e i cittadini più giovani del pianeta vivono oggi tra Asia e Africa. È lì che si negozierà il futuro. E se l’attuale ordine mondiale riflette ancora l’architettura della Guerra Fredda, è nelle regioni indo-mediterranea, del Golfo e del Sud globale che si sta immaginando un nuovo ordine — plurale, più inclusivo.
Ed è proprio lì che verranno affrontate le domande esistenziali su identità, fede, governo e convivenza. Il ruolo in evoluzione del Ccg, accanto alla diplomazia civile dell’India e alla piattaforma in espansione dei Brics, potrebbe ben delineare i contorni di un nuovo equilibrio globale — uno che rifletta meglio le voci della maggioranza dell’umanità.