Il nuovo obiettivo di spesa Nato per il 2035 impone una riflessione strategica e finanziaria all’Europa, con implicazioni rilevanti per l’Italia. Berlino, Parigi e altri partner hanno già intrapreso percorsi di rafforzamento, mentre a Bruxelles si susseguono iniziative e proposte, dai fondi Safe al bilancio Ue 2028–2035. Ma resta da sciogliere il nodo cruciale: come finanziare la sicurezza senza compromettere l’equilibrio dei conti pubblici? L’analisi di Fabrizio Braghini
L’obiettivo di spesa entro il 2035 del 5%, e precisamente del 3,5% per la difesa in senso stretto e dell’1,5% per la security, richiesto da Washington ai Paesi membri della NATO, ha aperto un ampio dibattito. Per la Nato, le spese per la difesa dei Paesi membri europei e Canada equivalgono attualmente a 486 mld $, pari al 2,02 % del loro PIL aggregato. In questo contesto l’Italia pesa per il 7%.
Un impegno politico che rappresenta un elemento di un quadro più articolato e in rapida successione, dalle nuove iniziative UE come i 150 miliardi di euro di prestiti del meccanismo Safe (e la probabile partecipazione britannica) alla clausola di temporanea esclusione dal Patto di Stabilità fino a 650 miliardi nazionali, al Defence Readiness Omnibus (un pacchetto di misure per semplificare e accelerare gli investimenti), alla recentissima quanto contestata proposta della Von der Leyden del bilancio pluriennale UE 2028-2035, con la previsione di 140 miliardi per difesa, spazio e mobilità militare, alla decisione franco-britannica per un coordinamento delle capacità nucleari.
L’evoluzione in corso nel contesto internazionale ed europeo caotico, circa il recupero di una deterrenza e di un rafforzamento della base industriale europea, ha assunto carattere prioritario per i governi. Se l’obietto del 3,5% è molto lontano, ci si concentra sul breve termine. Già oggi alcuni Paesi hanno deciso di anticipare un incremento degli investimenti difesa e del corrente livello 2% del PIL entro il 2030, come la Francia con 30 mld€ nella Legge di Programmazione Militare 2024-2030, i Paesi Nordici e Baltici con aumenti del 3-6% del PIL. Cinque Paesi tra cui Spagna e Portogallo anticipano a oggi incrementi inizialmente previsti nel 2029-2030. Germania con Polonia e Paesi Bassi utilizzano fondi speciali pluriennali extra-bilancio. La Germania passerà da un budget difesa oggi di 90 mld a 160 mld nel 2030 con stanziamenti aggiuntivi medi di oltre 50 Mld all’anno.
Si osserva peraltro poca chiarezza e confusione, con una girandola di numeri sull’obiettivo NATO del 2035 e le modalità di raggiungimento. Una fonte autorevole sottolinea che “gli alleati spenderanno 700 mld annui in più”. Val la pena di rammentare che la necessaria magnitudo finanziaria andrebbe a supporto della comune esigenza di incrementare, in un percorso decennale, le capacità di deterrenza e di rafforzamento della coesione nella dimensione europea.
Un punto fermo si trova nell’analisi dell’autorevole istituto svedese SIPRI che fornisce questi dettagli.
Nel 2024 i Paesi europei della NATO spendono per la difesa il 2,2% del Prodotto Nazionale Lordo, equivalente 454 mld $. Il 3,5% nel 2035 equivale a 1150 mld. Se ne deduce che complessivamente lo stanziamento aggiuntivo sarebbe di 3500 all’anno. Per l’Italia il 2,2% equivale a 38 mld $, mentre il 3,5% corrisponderebbe a 110 mld $, equivalente a stanziamenti aggiuntivi lineari di 40 mld $ all’anno.
Anche l’Institut Jacques Delors è sulla stessa linea, prevedendo per i Paesi europei di spendere collettivamente 850 mld annui in più per l’obiettivo 5%, e 270 sempre aggiuntivi annui per l’obiettivo 3,5%, utilizzando come dati EDA. Quindi niente di nuovo.
Quale sarebbe l’investimento aggiuntivo per l’Italia? Su questo punto occorre trovare un momento per fare chiarezza. Come ci si arriva? Per una stima corretta occorre partire dal livello base della spesa attuale, aggiungendo anno dopo anno gli investimenti extra da cumulare. La curva è progressiva, scalare e flessibile.
Se si vuole fare una stima realistica occorre considerare la situazione del 2025 con i dati ufficiaIi, ipotizzando una ragionevole tendenza all’incremento del PIL nel periodo 2026 – 2035. Il bilancio della difesa per l’Italia è di 32 mld ed equivale all’1,5% del PIL, mentre la spesa della sicurezza è stimata oggi in 10 mld, pari allo 0,5% del PIL. Se l’impegno per la difesa negli anni 2026-2035 rimanesse inerzialmente all’1,5% del PIL, considerando anche una crescita modesta di questo, la spesa complessiva per la difesa sarebbe di 340 – 350 mld. Invece se si vuole salire seppure gradualmente al 3,5%, gli stanziamenti nel 2026 – 2035 dovrebbero salire a circa 640-650 mld complessivi. Servirebbero quindi 300 mld aggiuntivi.
Con la stessa logica, la spesa per la sicurezza, oggi pari allo 0,5% del PIL equivalenti a 11 mld, per rimanere con l’attuale percentuale richiederebbe stanziamenti nel 2026 – 2035 intorno a 120 mld. Se si vuole crescere dallo 0,5% all’1,5%, si dovrebbero stanziare circa 230 mld complessivi, il che rappresenta una spesa addizionale di 110 mld.
Si può constatare che tali ordini di grandezza sono comparabili con le previsioni di altri Paesi. Si ricorda come esempio statistico e non politico quanto originariamente affermato da Sanchez. Per la Spagna, paese lontano dalla Russia, l’obiettivo del 5% equivarrebbe a una spesa aggiuntiva di 350 mld da reperire attraverso “un aumento delle tasse, una riduzione del 40% delle pensioni o un dimezzamento degli investimenti in istruzione”. Sanchez, che in Parlamento non avrebbe la maggioranza per approvare un ambizioso piano di incremento della spesa militare, ha garantito un limite del 2,1% del PIL. Stando ai dati Nato, equivale a uno sforzo finanziario da 33,4 mld l’anno contro i 19,7 attuali, ben lontani dai 55,7 mld richiesti.
Eclatante il caso del Belgio; lo sforzo finanziario per raggiungere l’obiettivo del 5% (pari a 30 mld) corrisponderebbe a moltiplicare il budget difesa di diverse volte. Oggi con un bilancio della difesa di 7,2 mld che corrisponde all’1,3% del PIL, si prevede una traiettoria all’obiettivo 2,2% del PIL verso il 2030.
In Francia, diverse fonti tra cui l’Institut des Hautes Etudes de Défense sostengono che il nuovo obiettivo del 5% del PIL comporta uno sforzo considerevole, che per la Francia significa accrescere della metà gli investimenti della difesa, passando dall’attuale 2,3% del PIL all’obiettivo del 3,5% con stanziamenti supplementari annui per 35 mld. Considerando che nel 2024 la spesa per difesa e sicurezza, incluse le pensioni, è di 103 mld, equivalente al 3,6% del PIL, viene quantificata una traiettoria di oltre 40 mld aggiuntivi all’anno per conseguire l’obiettivo del 5% nel 2035.
La questione del reperimento di risorse finanziarie e dei vincoli di bilancio europei risulta sempre complicata ed ha assunto carattere prioritario e di urgenza, con divergenze sulle modalità finanziarie circa le nuove misure europee per la difesa, come Readiness Safe e Edip.
Si rimane nell’attesa di soluzioni per il Consiglio Europeo in autunno e del lungo processo legislativo del bilancio pluriennale UE. Sul tavolo negoziale potrebbero rientrare varie proposte, come l’accelerazione e anticipazione ove fisicamente possibile di grandi programmi la cui programmazione è diluita su 10-15 anni per ragioni di finanza pubblica, prestiti coperti da garanzie europee con effetti moltiplicatori per investitori privati o venture capitals, bilancio comune Ue previa revisione delle regole Ue sul Patto di Stabilità, adozione del prossimo Bilancio 2028-35 UE che prevede 140 mld per difesa e sicurezza. Inoltre, si porrà la questione circa la capacità di assorbimento delle nuove risorse da parte dei sistemi economici e della difesa nazionali.