Dopo l’operazione Autumn Shield e l’allarme dell’intelligence australiana, sale ancora l’allerta dei Five Eyes sulle interferenze straniere. Martedì la prima dichiarazione di colpevolezza di un soldato neozelandese incriminato per spionaggio, giovedì la pubblicazione del report del servizio di sicurezza della Nuova Zelanda, che inquadra ufficialmente Pechino come attore principale per le attività di ingerenza e influenza esterne
Per i Five Eyes cresce il livello di sensibilizzazione e attenzione riguardo tematiche di sicurezza nazionale, complici la prima condanna della storia neozelandese per spionaggio, l’arresto – ancora una volta per spionaggio – di una donna cinese a Canberra e l’allarme lanciato dalle agenzie di intelligence australiana e neozelandese, che segnalano l’intensificazione delle attività straniere nei rispettivi territori.
L’allarme della componente oceanica dei Five Eyes
L’operazione Autumn Shield condotta a Canberra, il verdetto neozelandese e gli allarmi delle agenzie di intelligence di Canberra e Wellington puntano verso la medesima direzione: Pechino sta allungando le proprie ali nell’Indo-pacifico in Oceania, con particolari mire per i membri Aukus e Fives Eyes.
In soluzione di continuità con la linea tracciata dall’Australian Security Intelligence Organisation (Asio), il rapporto annuale del Security Intelligence Service (Sis) rompe con la tradizionale impostazione di prudenza di Wellington. Per la prima volta, l’agenzia di intelligence individua esplicitamente Pechino come “l’attore più attivo” riguardo le attività di interferenza straniera, definendolo come un soggetto “assertivo e potente” capace di minacciare gli interessi nazionali del Paese.
Dove guarda il dragone
Il Sis avverte che parte delle attività di influenza cinese si esercita attraverso le comunità diasporiche, esattamente come nel quadro delineato dall’operazione Autumn Shield in Australia, oltre ad un ventaglio di attività che spaziano dal cyber alle pressioni diplomatiche, fino al lavoro, definito dal Sis come “ingannevole e coercitivo”, del Dipartimento del Fronte Unito cinese, braccio politico esterno del Partito.
La risposta di Pechino non si è fatta attendere, bollando il rapporto come privo di fondamento e accusando la Nuova Zelanda di adottare una mentalità da Guerra fredda e di voler avvelenare le relazioni bilaterali. Una linea retorica già vista nei confronti di altri Paesi del blocco occidentale, ma che nel caso neozelandese assume un particolare peso specifico: la Cina è infatti il primo partner commerciale del Paese, un vincolo che ha finora spinto Wellington a misurare con estrema cautela ogni parola.
Il grande gioco ruoterebbe attorno alla postura internazionale della Nuova Zelanda. Da un lato, Wellington è parte integrante dell’alleanza Five Eyes con Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia: un circuito di intelligence che, soprattutto negli ultimi anni, ha intensificato i rapporti con Tokyo – grazie all’accordo sulla condivisione di informazioni classificate tra Giappone e Canada – e la propria attenzione verso Pechino. Dall’altro, la dipendenza economica dal dragone rende complesso allinearsi pienamente con la linea più dura seguita da Canberra o Washington.
Il contesto delineato dal report dell’intelligence neozelandese, contestualmente all’annuncio di un aumento della spesa per la difesa (2,7 miliardi di dollari nzd), segnala per Wellington la necessità di ridefinire la propria postura geopolitica di fronte alla grande interdipendenza economica col dragone: continuare a essere l’anello più prudente dei Five Eyes, oppure accettare un coinvolgimento sempre più diretto nel contrasto ai tentativi di disturbo e interferenza interregionali e antioccidentali del Dragone.