Skip to main content

Lo Xinhua Institute arma la propaganda con un manuale geopolitico globale

Lo Xinhua Institute trasforma la Belt and Road in manifesto politico. Pechino presenta i suoi “beni intellettuali pubblici” come alternativa al modello occidentale e codifica il soft power cinese in sistema globale

La Cina mette a sistema la sua propaganda. Lo Xinhua Institute, think tank interno all’agenzia di stampa ufficiale di Pechino, ha pubblicato un rapporto monumentale dal titolo “Answering the Questions of Our Time: The Global Significance and Practical Value of China’s Public Intellectual Goods”.

Sotto le spoglie del documento accademico, il manuale è strumento di geopolitica e soft power pensato per trasformare la Belt and Road Initiative da progetto infrastrutturale a piattaforma ideologica globale.

La diagnosi

Secondo lo Xinhua Institute, il mondo è attraversato da crisi multiple – geopolitiche, economiche, digitali e valoriali – e soffre di un “deficit di idee”. Pechino offre la soluzione: i suoi “beni intellettuali pubblici globali”, un lessico che mescola governance, modernizzazione e valori universali. Il concetto è chiaro: idee, norme e principi che la Cina definisce “pubblici” perché presentati come patrimonio di tutta l’umanità, ma che di fatto rispecchiano l’agenda strategica di Xi Jinping.

Il report ricostruisce una genealogia per legittimare la proposta cinese: dall’Illuminismo alla Carta Onu, da Bretton Woods alla Dichiarazione universale dei diritti umani, fino al movimento di decolonizzazione. Il concetto, mutuato dalla teoria dei beni pubblici, viene applicato alle idee, ai valori e alle regole che, secondo Pechino, dovrebbero guidare il mondo. Dalla “Comunità di destino condiviso per l’umanità” al modello della “modernizzazione cinese” fino ai “valori comuni dell’umanità” come pace, sviluppo, giustizia e libertà. Si tratta di una sistematizzazione del pensiero di Xi Jinping, presentato come alternativa all’egemonia valoriale occidentale.

La proposta

È qui che fa ingresso Pechino. Il dragone può offrire con “beni intellettuali pubblici globali” (regole, concetti, valori) che abbiano vocazione universale, natura pubblica, forza normativa e, soprattutto, praticabilità. Il passaggio chiave sta in quest’ultima parola. Le idee contano se diventano procedure, reti, piattaforme, progetti misurabili. Oggi, sostiene il rapporto, tocca al Sud globale farsi motore del rinnovamento.

Qui la statistica diventa narrazione. I Brics allargati come metà della popolazione mondiale, circa il 30% del Pil a cambi di mercato, oltre il 50% della crescita globale, più del 25% dell’export energetico. Non sono solo numeri: sono l’argomentazione che giustifica lo spostamento del baricentro cognitivo, ideologico e storico del mondo. Per dare corpo a questa tesi, il testo evoca tre matrici valoriali non occidentali come Ubuntu, Pachamama, Swadeshi, incastonandole come precedenti “autoctoni” di un pluralismo che la Cina si propone di orchestrare.

Il cuore politico del rapporto è composto da una triade che compone il sistema cinese dei “beni intellettuali”: comunità di destino condiviso, modernizzazione cinese, valori comuni dell’umanità (“pace, sviluppo, equità, giustizia, democrazia, libertà”). La comunità di destino diventa cornice di governance, che si declina attraverso i “cinque obiettivi per il mondo”. Pace duratura, sicurezza universale, prosperità condivisa, apertura e inclusione, ambiente pulito. La via per arrivarci, secondo il think tank cinese, è quella della consultazione estensiva, contributo congiunto e benefici condivisi. E, casualmente, coincide con la formula che da anni accompagna la riforma dell’ordine multilaterale proposta da Pechino.

A corollario, il testo aggrega le quattro grandi iniziative di Xi, GDI (sviluppo), GSI (sicurezza), GCI (civiltà), GGI (governance), presentandole come i pilastri funzionali dell’offerta cinese, che si articola attraverso le caratteristiche intrinseche delle idee che muovono Pechino, definite scientifiche (radicate nella pratica, come la lotta alla povertà), aperte (capaci di assorbire esperienze altrui, ma guidate da Pechino), progressive (adattive alle trasformazioni globali).

Il dragone globale

È significativo l’inserimento della Global Governance Initiative annunciata il 1° settembre 2025 al formato SCO+ di Tianjin. Il rapporto la eleva a bussola di riforma dell’ordine, con lessico di diritto internazionale (eguaglianza sovrana, centralità della Carta Onu, multilateralismo “effettivo”) e retorica “people-centered”.

A dare trazione alla teoria c’è la piattaforma operativa per eccellenza. La Belt and Road, che lo Xinhua Institute definisce “esempio vivente” della visione di destino condiviso, sottolineandone i cinque assi (coordinamento politico, connettività infrastrutturale, commercio senza ostacoli, integrazione finanziaria, legami tra persone) e le tre “connettività”, hard, soft, heart.

Il messaggio è lineare: la BRI non è un corridoio di opere, è il laboratorio applicato dei beni intellettuali cinesi. Da qui discendono le declinazioni tematiche già emerse negli ultimi anni – Green Silk Road, Digital Silk Road – e le proposte “di regole” come l’Iniziativa sulla governance dell’IA o quella sulla sicurezza dei dati: spazi in cui Pechino mira a stabilire standard, linguaggi, prassi.

Salvare il mondo dalle idee dell’Occidente

Il contrappunto è l’Occidente, accusato di populismo, polarizzazione, guerre di esportazione della democrazia, incoerenze sul clima e fallimenti del neoliberismo. Se l’Occidente produce crisi e instabilità, la Cina – dice il report – produce “beni intellettuali pubblici”. Pechino non vuole presentarsi come potenza revisionista ma come fornitore di ordine globale, un attore che trasforma interessi nazionali in presunti beni comuni. La propaganda è sofisticata, sistematica, costruita per parlare alle élite del Sud globale, ai tavoli multilaterali e al pubblico interno. Idee e regole non sono né neutrali né universali, ma strumenti di influenza. L’ambizione di Pechino è chiara: spostare il baricentro del discorso globale, stabilire linguaggi, fissare standard, costruire coalizioni e vincolare partner e istituzioni dentro architetture regolate da Pechino.

Il rapporto dello Xinhua Institute è un manifesto politico: la grammatica del soft power cinese, con cui la Belt and Road smette di essere solo economia, cemento e infrastrutture e diventa potere regolatorio. Pechino sa che il modello occidentale e democratico è più lento, più consultivo, della snellezza operativa e decisionale tipica delle autocrazie. Qui si inserisce la sua alternativa, con una propaganda che diventare policy, portando all’istituzionalizzazione globale del dragone.


×

Iscriviti alla newsletter