Con l’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi, direttore del quotidiano Italia Oggi.
Un merito, il Pdl di Berlusconi, ce l’ha avuto ed è stato quello di essersi opposto all’occupazione del potere da parte di una sinistra che sembrava disintossicata dai fumi del marxismo e che invece aveva incorporati gli automatismi statalistici. Fumi che, vent’anni dopo, sono ancora presenti (anche se ora sono attenuati). Berlusconi, alla «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, oppose la chiamata alle urne di tutti coloro che, per i più vari motivi, non volevano votare a sinistra.
In questo modo, non solo vinse ripetutamente le elezioni politiche, ma costrinse anche la sinistra a mettersi in discussione. E se oggi Matteo Renzi sta diventando il segretario del Pd, questo esito è anche la conseguenza del fatto che il Pd è stato costretto a prendere atto che il numero di italiani che non avrebbe mai votato per una sinistra statalista era, ed è, molto importante.
Senonché la gestione proprietaria del Pdl da parte del solo Berlusconi ha impedito al partito di costruirsi le sue radici che sono sempre l’esito dello scontro fra diverse opinioni politiche liberamente esprimibili. Infatti, a vent’anni dalla sua fondazione, la classe dirigente del Pdl proviene ancora e solo da partiti ad esso pre-esistenti: Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi erano socialisti, Altero Matteoli, Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè, aennini; Gaetano Quagliariello, radicale; Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi, democristiani; Sandro Bondi, comunista. Il Pdl, da questo punto di vista, è stato un partito frigido.
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