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Il governo Alfetta e l’uniformità che rende schiavi

È impossibile dire in queste giornate di euforia commista a diverticolite mentale, cioè a confusione politica, se i duplici schiera-menti (maggioranza corsara nella giunta delle elezioni al senato; maggioranza reale rifiduciata in entrambi i rami del parlamento) resisteranno sino alla scadenza del semestre italiano in Europa. O se, come qualcuno sostiene scaramanticamente, reggeranno dopo i riassestamenti organizzativi dei principali pilastri su cui si mantiene in piedi il governo Letta-Alfano: una settimana fa definito Alfetta da “Il Foglio”, ora recuperato alla sua bivalenza.

Stupisce che alcuni politologi di valore, pur dinanzi ad un groviglio di posizioni tattiche e di radicali incertezze politiche generali, tornino a rispolverare le antiche distinzioni fra destra e sinistra: che sono espressioni convenzionali non valide perennemente, ma solo rispetto al contesto politico all’interno del quale vengono usate, e non vanno intese sempre col medesimo significato. Almeno venticinque anni orsono – cioè prima che Berlusconi decidesse di scendere direttamente in politica -, il filosofo Norberto Bobbio insegnava che destra e sinistra non avevano più un senso realistico (date le grandi mutazioni avvenute nell’universo mondo) e fosse più logico ed opportuno si parlasse di vecchio e di nuovo. Peraltro in fine anni Settanta del Novecento Ciriaco De Mita sollecitava i democristiani anzitutto, ma l’intero schieramento culturale e politico italiano, a non dividersi secondo schematismi antichi di matrice marxistica; e a presentarsi con proposte nuove (cioè innovative e riformistiche) rispetto a comportamenti vecchi, che potevano rilevarsi tanto nella metà destrorsa dello schieramento politico, come anche nel versante sinistrorso, si definisse comunista, socialista o giacobino-radical chic.

Il professor Ernesto Galli Della Loggia è dell’opinione che gli stilemi cui ricorre quella che, in Italia, viene ritenuta sinistra, siano: l’Europa, la costituzione, il sindacato, i diritti, la pace, la laicità, il multiculturalismo, la legalità. Io ricordo che al tempo di Veltroni, nel suo partito vennero individuate tredici parole-chiave tipiche di una “sinistra a vocazione maggioritaria”. La politica reale del Pd di Bersani e di Epifani, compresi i recentissimi atti parlamentari, ci dice che, degli “stilemi” rilevati da Della Loggia, di effettivamente distintivo di quel mondo sono la difesa acritica di una costituzione obbiettivamente superata dai tempi, il sindacato come mitologia e la legalità intesa come giustizialismo, non come diritto civile.

L’Europa non è mai stata una rivendicazione sinistrorsa; e cominciò a farsi largo soltanto dopo il crollo del Muro di Berlino, essendo invece stata, da sempre, un’aspirazione dei democristiani, dei liberali, dei socialdemocratici e persino dei missini vedovi dell’Asse Roma-Berlino. I diritti sono rivendicati, oggi, nel versante opposto, non essendo lecito limitarli al tema dei gay o dello jus soli per gli immigrati clandestini. La pace la invochiamo tutti, fortunatamente. La laicità ha segnato la storia della Dc degasperiana, che ovviamente respingeva il laicismo, che è cosa totalmente diversa. Il multiculturalismo è addirittura un lemma strumentalizzato, benché sia sostanzialmente contraddetto dalla “differenza antropologica” reclamata da Pd e annessi.

Lo storico (e ministro) Gaetano Quagliariello, proveniente da altra scuola di pensiero, è dell’opinione che una formazione politica dei moderati, multiculturale e riformista, debba prevalentemente preoccuparsi di: rilanciare la propria vocazione europeista e di restare nel partito popolare europeo (e, quindi, non in movimenti xenofobi o etnici o radicali o estremistici); sfidare governi e partiti ad abbassare le tasse; riformare profondamente la giustizia e riformare lo Stato (cioè la stessa carta costituzionale).
Sia Della Loggia che Quagliariello sono favorevoli al bipola-rismo. Cioè ad un sistema nel quale sia affermata senza riserve il principio della alternanza democratica, cui persino De Gasperi, per la verità, guardava con interesse autentico benché la Dc possedesse la maggioranza quasi assoluta dei voti popolari e dei seggi parlamentari senza beneficiare di premi di maggioranza.

La legge elettorale acquista rilevanza ove manchi – come ora manca – chiarezza circa la struttura istituzionale che s’intenda archi-tettare e, invece, la lotta politica non si riduca ad eterno scontro fra antagonismi contrapposti. L’Italia è un paese plurale – culturalmente, politicamente, socialmente – e non può (o, quanto meno, non dovrebbe) rinserrarsi in uno scontro permanente fra due soli schieramenti, ciascuno contenente vecchie e nuove pulsioni soppressive di una reale varietà di orientamenti. La geografia politica italiana è in realtà molto meno schematica, è ricca di sfumature che danno sostanza e identità alle numerose e non uniformi forze politiche e sociali. Ciò che va assolutamente rifiutato è l’uniformità: degli individui come della collettività.

La libertas cristiana è un insegnamento universalistico, non passionale bensì razionale, che concorre efficacemente a garantire la pace fra popoli e Stati ciascuno nel suo ordine, e una pacificazione nazionale dopo decenni (non un solo ventennio) di scontri belluini fra uomini dalle idee le più diverse.



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