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Dual circulation, punizioni mirate e propaganda. Il playbook economico cinese

Il nuovo rapporto della Rand Corporation fotografa la strategia con cui Pechino ha costruito un modello di deterrenza economica, nel quale le catene del valore sono diventate armi geopolitiche

La Cina non ha mai codificato una dottrina ufficiale di deterrenza economica. Eppure, negli ultimi anni, Pechino ha assemblato un vero e proprio modello di resistenza e controffensiva, una combinazione di strumenti che le consente di assorbire pressioni esterne e di scoraggiare gli avversari dall’usare leve economiche contro di lei. A ricostruirne logiche e pilastri è un nuovo rapporto della Rand Corporation, che individua un mosaico di pratiche e narrative in grado di rafforzare il potere deterrente di Pechino e trasformare le interdipendenze globali in armi strategiche.

Cinque pilastri per resistere

Il report si regge su cinque pilastri.

Primo: rafforzare la resilienza economica interna, aumentando la produzione nazionale nei settori critici (energia, grano, semiconduttori) e diversificando asset e capacità produttive lontano dalle aree costiere vulnerabili.

Secondo: intrecciare relazioni con Paesi terzi (contratti energetici ventennali con fornitori di gas, joint venture tecnologiche, filiere globali) così da trasformare la dipendenza in deterrenza.

Terzo: disporre di una cassetta degli attrezzi pronta all’uso. Dalle tariffe alle restrizioni all’export, da attivare rapidamente contro chi colpisce Pechino.

Quarto: costruire credibilità, dimostrando di poter assorbire i contraccolpi economici senza cedere.

Quinto: preparare la popolazione, con una narrativa mediatica che insiste sulla capacità cinese di resistere a ogni “ricatto occidentale”.

La deterrenza per negazione

Nella logica della deterrenza “by denial”, la Cina lavora per ridurre al minimo i punti vulnerabili. La “dual circulation strategy” lanciata da Xi Jinping spinge sulla produzione domestica nei settori strategici pur mantenendo accesso a input esterni. Sussidi e incentivi statali alimentano cluster industriali di tecnologie emergenti, mentre programmi come “Thousand Talents” reclutano scienziati dall’estero per importare know-how. Tutto questo, spiega Rand, crea la percezione di un’economia capace di resistere a shock e attacchi esterni.

La deterrenza per entanglement

Il secondo pilastro è la deterrenza “by entanglement”, cioè la capacità di rendere costoso per gli altri imporre sanzioni a Pechino. Con le sue catene di fornitura globali, la Cina resta un hub imprescindibile: dalle terre rare ai componenti elettronici fino al ruolo di assemblatore finale. Tuttavia, osserva Rand, più che di “entanglement reciproco” si tratta di deterrenza per dipendenza: Pechino sceglie accuratamente le ritorsioni, colpendo settori non vitali per sé ma sensibili per l’avversario, come dimostra la recente disputa con Bruxelles sulle auto elettriche e il brandy europeo. È l’intreccio delle filiere globali e colpire Pechino significa colpire anche se stessi.

La capacità di risposta

La certezza della rappresaglia è il pilastro più visibile. La Cina ha usato restrizioni sulle terre rare contro Giappone nel 2010, salmone norvegese nel 2010, e più di recente contro gli Stati Uniti dopo l’escalation tariffaria del 2025. La rapidità con cui ha imposto export control su materie prime critiche mostra una prontezza codificata in policy. E qui la credibilità è decisiva. Ormai gli attori globali danno per scontato che, se provocata, Pechino reagirà con altre misure economiche.

L’opinione pubblica

Il fronte interno non è secondario. Media e think tank cinesi insistono su un messaggio: la Cina è più resiliente degli Stati Uniti e ogni guerra commerciale farà più male a Washington che a Pechino. È un lavoro di condizionamento che prepara la popolazione a sopportare costi, rafforza la narrativa di resistenza e aumenta il potere deterrente complessivo.

Comprendere il modello

La deterrenza economica non è fatta solo di strumenti materiali ma di credibilità, ed oggi diviene vera e propria dottrina di confronto. Pechino lavora per dimostrare, nel tempo, di avere sia i mezzi sia la volontà politica di usarli. La reputazione di un attore capace di incassare colpi e reagire è essa stessa un moltiplicatore deterrente. Lo spyware, l’energia, i semiconduttori, le terre rare. Tutto rientra in un’unica partita geopolitica in cui l’economia diventa leva di potere e strumento di guerra ibrida. Il playbook cinese mostra che la deterrenza economica non coincide con l’autarchia, ma con la capacità di ridurre le vulnerabilità, sfruttare le interdipendenze e garantire ritorsioni credibili.


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