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L’attacco israeliano al Qatar segna la fine degli Accordi di Abramo. Scrive Mezran

L’attacco israeliano al Qatar apre un nuovo capitolo di tensioni in Medio Oriente. La crisi rischia di travolgere definitivamente gli Accordi di Abramo e di ridisegnare alleanze e schieramenti nella regione. Ecco perché secondo Karim Mezran, director della North Africa Initiative dell’Atlantic Council e resident senior fellow del Rafik Hariri Center & Middle East programs

Non si possono ancora valutare correttamente le conseguenze, sul piano internazionale come su quello interno, dell’attacco israeliano contro il Qatar, piccolo Stato arabo del Golfo sotto i cui auspici si sono tenuti i primi contatti tra israeliani e palestinesi per arrivare a un accordo complessivo sul conflitto israelo-palestinese (o almeno queste erano le intenzioni dei principali attori).

Che Israele non nutrisse alcun reale interesse a definire un accordo con i palestinesi, soprattutto se rappresentati da Hamas – che ai suoi occhi rappresenta una minaccia esistenziale – è apparso subito chiaro. L’attacco contro il Qatar è quindi soltanto l’ultimo atto, in ordine di tempo, della strategia che il Primo Ministro dello Stato ebraico, Benjamin Netanyahu, e il suo governo di che include elementi dell’estrema destra, stanno conducendo dall’inizio della guerra contro Gaza.

Il fine ultimo, come dichiarato più volte dai vari ministri di questo governo, sarebbe quello di espellere la popolazione palestinese dalla Striscia e renderla un’area sicura per l’incolumità di Israele, sebbene il piano per definire questo status appaia vago ed è spesso accompagnato da invocazioni politiche miranti all’annessione.

La “liberazione” dei territori arabi occupati – per i sostenitori di Netanyahu si tratterebbe degli antichi territori di Giudea e Samaria – avrebbe luogo a breve. Le tensioni in Cisgiordania tra coloni israeliani e palestinesi sono in questa cornice fortemente aumentate dopo il massacro compiuto dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023, innescando nuovamente una sanguinosa spirale di violenza e la ripresa delle politiche di espansione degli insediamenti illegali. Blande e tutt’altro che incisive sono state le posizioni espresse tanto dai paesi occidentali quanto dai Paesi arabi, dimostrando tanto l’ipocrisia del sostegno alla causa palestinese quanto l’interesse delle élite arabe nell’accondiscendere a compromessi con Israele e con gli Stati Uniti.

Netanyahu ritiene di ottenere rapidamente e con la forza quello che gli americani e altri alleati di Israele contavano di raggiungere pacificamente con gli Accordi di Abramo. Questi “accordi”, scarsamente rappresentativi di rappresentatività popolare, sono stati fortemente voluti dalle élite occidentalizzate di alcuni Paesi arabi per entrare nel “club dei potenti”, dominato dai grandi finanzieri, dagli imprenditori soprattutto nel campo delle nuove tecnologie e dai banchieri che controllano il flusso dei capitali a livello globale.
È lecito pertanto domandarsi se, in conseguenza dell’azione israeliana contro il Qatar, gli accordi sapranno resistere all’onda d’urto dell’instabilità regionale o se al contrario riusciranno a produrre i risultati auspicati.

La dinamica degli eventi in atto rende complessa e difficoltosa per i paesi arabi tanto l’adesione agli accordi – come nel caso dell’Arabia Saudita – quanto la sua effettiva continuità per coloro che ne sono già parte. Sebbene l’interesse per la causa palestinese sia in modo evidente residuale da parte dei paesi della regione, la narrativa che lo interessa rappresenta al tempo un importante strumento di contenimento delle istanze sociali, che determina in tal modo un paradosso politico senza precedenti.

Gli equilibri sociali, resi instabili dalle dinamiche degli ultimi due anni in particolar modo, rendono possibile in questa fase tanto la fuoriuscita dagli accordi del Bahrein, Stato a maggioranza sciita fortemente critica verso il filoamericanismo della minoranza sunnita al potere, e, ipoteticamente, anche del Marocco, dove in molti hanno mostrato ostilità verso gli Accordi, con la possibilità di esercitare crescenti pressioni sulla monarchia affinché anche Rabat se ne allontani.

Se questo dovesse accadere, la retorica degli Accordi intesi come “ponte” tra i popoli e “forieri di pace permanente” rischierebbe di cadere e dissolversi nel nulla. Un rimescolamento delle posizioni politiche e degli schieramenti militari in Medio Oriente potrebbe rivelarsi pieno di sorprese e nuovi equilibri.


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