Dopo il crac Wirecard, Jan Marsalek riemerge a Mosca sotto protezione russa: identità false e accessi alla Lubyanka. L’inchiesta congiunta The Insider, Der Spiegel, ZDF e Der Standard
La parabola di Jan Marsalek somiglia a un manuale di guerra ibrida o forse ad un film di spionaggio targato Hollywood. Da enfant prodige della fintech europea a latitante di lusso protetto dal Cremlino. Secondo una corposa inchiesta de The Insider (con Der Spiegel, ZDF e Der Standard), il regista occulto del buco da 1,9 miliardi di euro in Wirecard vive da anni nel cuore di Mosca, muovendosi con documenti multipli (anche ecclesiastici), chirurgia estetica di contorno e l’accesso privilegiato alla Lubyanka, sede dell’Fsb.
Da Wirecard all’Fsb
Prima, protagonista del più grande scandalo finanziario della Germania. Poi, reclutato in passato dal Gru, dicono le carte, Marsalek avrebbe virato sul versante Fsb, con passaggi regolari vicino al quartier generale dei servizi interni russi e sortite nelle zone occupate dell’Ucraina (Mariupol, Crimea), talvolta scortato da elementi Spetsnaz. Un profilo che mescola business, operazioni coperte e proiezione di potenza.
Intorno a lui, rivela l’inchiesta, una piccola infrastruttura vivente: Tatiana Spiridonova. Accademica con passaporto diplomatico e legami istituzionali, da insegnante di russo a corriere di fiducia per trasferire smartphone e laptop sensibili (anche con cifratura Nato) da Vienna a Mosca via Istanbul. Chat, scali e metadati ricostruiscono consegne dirette alla Lubyanka.
A ovest, il fronte britannico. Un tribunale di Londra ha condannato sei bulgari per spionaggio a favore di Mosca. In mezzo, i messaggi e i pagamenti che, secondo gli atti, puntano su Marsalek come orchestratore e finanziatore. Dal monitoraggio di basi Usa in Germania ai piani (falliti) per sequestrare dissidenti e giornalisti scomodi al Cremlino. Nei dialoghi intercettati e riportati nell’inchiesta, riecheggia il metodo: “meglio la mazza, stile Wagner”.
Ricomporre il puzzle
Nel mosaico, ricorda The Insider, compaiono alias come “Alexander Nelidov”, cittadinanza “donata” dopo l’annessione farsa del Donbass e una routine da apparato: percorsi tracciati dai ping telefonici tra Lubyanka, alberghi centrali e cliniche di chirurgia. Tutto dentro un Paese dove il mercato nero dei dati rende trasparente perfino ciò che dovrebbe restare invisibile.
Dei 1,9 miliardi evaporati dai bilanci di Wirecard si perde la scia. Frammenti portano a hub finanziari tra Asia ed Europa e, a Mosca, a frequentazioni ricorrenti presso una banca sanzionata dagli Usa per elusione. Sullo sfondo, la copertura politica del Cremlino, che ancora oggi lo nasconde dal mandato della Procura federale tedesca e dalle ricerche dell’Interpol.
Nel quadro che emerge dall’inchiesta, in cinque anni Jan Marsalek, spesso indicato come facilitatore di operazioni in Africa con l’obiettivo di strumentalizzare i flussi migratori verso l’Europa e l’Italia, avrebbe trasformato la latitanza in un impiego a tempo pieno per l’apparato di sicurezza russo, oscillando tra intelligence, influenza e cinetica.