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Così il biotech può essere il motore strategico per la crescita dell’Italia. L’intervento di Damiani (FI)

Di Dario Damiani

Il biotech oggi è un driver essenziale di innovazione, in grado di trainare settori-chiave come il farmaceutico e la bioeconomia, che insieme contribuiscono a generare oltre il 20% del Pil nazionale. Tuttavia, il settore sconta purtroppo ostacoli strutturali che ne limitano il pieno sviluppo. Per questo, sostiene Dario Damiani, senatore, segretario della commissione Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare, è necessario un cambio di passo

In un contesto globale segnato da crescente instabilità geopolitica, ricorrenti shock economico-finanziari e crisi sanitarie, il rafforzamento dell’industria nazionale – in particolare nei settori ad alta tecnologia come quello biotecnologico – rappresenta una priorità per la tenuta del Paese. Dopo Stati Uniti e Cina, anche l’Unione europea finalmente punta in maniera decisa sulle biotecnologie e per il biotech nazionale si tratta di un’occasione irripetibile per costruire il proprio futuro. L’industria biotech italiana è in crescita, con un fatturato stimato di oltre 47,5 miliardi di euro e circa 80mila addetti nel 2023, secondo Assobiotec.

Le biotecnologie sono certamente una leva strategica per affrontare le sfide globali, dal cambiamento climatico alla sicurezza alimentare, fino alla prevenzione e gestione delle pandemie. Si tratta, infatti, di un comparto che investe in ricerca e sviluppo in misura significativa, che attrae capitali, valorizza competenze e genera occupazione qualificata. Infine, riveste un ruolo sempre più centrale nella capacità del Paese di rispondere a emergenze sanitarie e biologiche, prevenire crisi future e garantire la salute dei cittadini, puntando su prevenzione e preparedness, ormai ritenuti indispensabili per la stabilità economica e di sicurezza di un Paese.

Una nazione, infatti, in contesti di elevata incertezza, risulta tanto più sicura quanto più è capace di produrre in casa ciò che è strategico. Il rafforzamento della base industriale nazionale non può prescindere da una strategia articolata che tenga insieme più dimensioni: investimenti strutturali in impianti e tecnologie, ma anche politiche attive per il capitale umano, il trasferimento tecnologico e la collaborazione tra pubblico e privato.

Solo attraverso partnership solide tra istituzioni, università, enti di ricerca e imprese sarà possibile colmare il divario oggi esistente tra la spinta innovativa del settore privato e la capacità di intervento e pianificazione del settore pubblico. I laboratori e gli hub pubblico-privati per l’innovazione diventano, così, veri e propri ecosistemi in grado di accelerare il trasferimento tecnologico dalla ricerca all’industria, e rafforzare la competitività nazionale in un settore ad alto valore aggiunto.

Il biotech oggi è un driver essenziale di innovazione, in grado di trainare settori-chiave come il farmaceutico e la bioeconomia, che insieme contribuiscono a generare oltre il 20% del Pil nazionale. Tuttavia, il settore sconta purtroppo ostacoli strutturali che ne limitano il pieno sviluppo: burocrazia regolatoria, accesso limitato al capitale, difficoltà nelle scale-up, soprattutto per start up e Pmi, e barriere commerciali; dunque, grandi difficoltà nella pianificazione strategica e di medio-lungo periodo. Tutto questo impone un cambio di passo culturale e sistemico.

Investire in biotech in Italia non è facile, ma oggi è meno difficile di ieri. Ci sono infatti diversi segnali incoraggianti, grazie a una crescente attenzione istituzionale per il settore, che ha ricompreso il biotech nelle strategie di politica industriale nazionale. Pensiamo al piano Made in Italy 2030, per ridisegnare una politica nazionale favorevole alle aziende che vogliono investire; alla Strategia italiana per la bioeconomia (Bit II – Iap 2025-2027); ai maggiori investimenti pubblici e privati rivolti al settore, ai tavoli ministeriali per la semplificazione della ricerca o a quello per l’internazionalizzazione.

La “diplomazia della crescita”, fortemente sostenuta dal ministero degli Esteri con il nostro vice premier Antonio Tajani, è uno strumento fondamentale per attrarre investimenti in Italia e per dare nuovo impulso alla produzione e all’export del nostro Paese, inclusa l’industria biotech che è strategica soprattutto nel quadro del settore farmaceutico. Fondamentale, dunque, formulare strategie e raccomandazioni per l’internazionalizzazione degli attori, nell’ottica della sempre crescente attenzione che il governo, attraverso il ministero degli Esteri, attribuisce allo sviluppo internazionale delle filiere innovative e delle tecnologie emergenti.

(Pubblicato su Healthcare Policy 16)


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