L’omicidio di Charlie Kirk da parte di Tyler Robinson, radicalizzatosi a sinistra, evidenzia come la polarizzazione estrema possa trasformare differenze politiche in conflitti identitari. Il caso mostra la non linearità della radicalizzazione e l’importanza di educazione alla tolleranza, pensiero critico, responsabilità mediatica e programmi di deradicalizzazione per prevenire violenza e proteggere la coesione sociale. L’analisi del generale Pasquale Preziosa e della professoressa Sabrina Martucci
L’omicidio dell’influencer conservatore Charlie Kirk, attribuito al giovane Tyler Robinson, ha scosso l’opinione pubblica americana. Le indagini hanno rivelato che Robinson si era “radicalizzato a sinistra”, un fatto che molti osservatori hanno giudicato sorprendente e inaspettato.
L’episodio rappresenta un banco di prova cruciale per interrogarsi su due aspetti fondamentali: la polarizzazione estrema, come terreno fertile per la radicalizzazione violenta, e la natura complessa e non lineare dei processi radicali di cui da tempo, segnaliamo mutevolezza e capacità adattative.
Il disorientamento suscitato dall’identità politica del killer rivela un bias cognitivo diffuso, cioè ritenere che la radicalizzazione appartenga soltanto a determinati ambienti. Spesso associata all’islamismo jihadista o al suprematismo di destra, in questo caso si è sviluppata in un contesto ideologico opposto, dimostrando che è un processo che non si limita a una matrice ideologica specifica.
Come ha osservato Martha Crenshaw, i meccanismi che conducono alla violenza sono in larga misura universali e dipendono da dinamiche di mobilitazione, legittimazione e opportunità non uniformabili e persino antitetici. La radicalizzazione si manifesta come adesione consapevole a idee estremiste, con piena autodeterminazione e allineamento a un sistema di credenze, ma anche come reazione a marginalità, esclusione o frustrazione sociale, in cui il soggetto costruisce una nuova identità attraverso la lotta. In entrambi i casi, la polarizzazione estrema funge da matrice comune, amplificando la percezione di un nemico assoluto, rinforzando coesione interna e senso di appartenenza, e fornendo una cornice interpretativa per la contrapposizione ideologica.
La radicalizzazione costituisce, evidentemente, un processo trasversale che può manifestarsi in diversi contesti culturali e politici, funzionalmente al meccanismo basico e “semplice” della polarizzazione estrema. Essa trasforma le differenze di opinione in conflitti identitari e rende possibile, in ogni caso, la costruzione di un “nemico assoluto”.
Nel caso Kirk, questa dinamica si è concretata nel fatto che l’obiettivo dell’aggressore non era la persona in sé, ma ciò che Kirk rappresentava: un simbolo del conservatorismo statunitense. La polarizzazione estrema ha dunque trasformato una differenza politica in conflitto identitario e ha facilitato la disumanizzazione dell’avversario, rendendo possibile la violenza.
Il caso Kirk dimostra che la violenza politica può emergere ovunque vi sia dogmatismo e assolutizzazione ideologica, indipendentemente dal colore politico. La sorpresa dell’opinione pubblica è dunque un segnale della difficoltà di comprendere la radicalizzazione come fenomeno sistemico e dilagante.
Dunque, la radicalizzazione non è un processo lineare e pone problemi di “soglia”. La teoria della complessità ci insegna che i sistemi sociali sono caratterizzati da non linearità, emergenza e imprevedibilità. Piccoli eventi, un confronto sui social, l’ingresso in una chat ideologizzata, oppure una frustrazione personale, possono avere conseguenze sproporzionate.
Come sottolineava Hannah Arendt, la violenza non è mai un dato naturale, bensì uno strumento che emerge in condizioni di rottura del dialogo politico e della fiducia sociale. In questo senso, la radicalizzazione rappresenta una forma di “biforcazione sistemica”: da un percorso ordinario di socializzazione politica, l’individuo può, talvolta in maniera improvvisa, deviare verso un’escalation violenta che compromette la sicurezza pubblica, passando dall’esercizio legittimo dei diritti di libertà politico-ideologica all’illegalità eversiva.
Il caso Kirk evidenzia che la radicalizzazione è un fenomeno complesso e contingente, impossibile da prevedere pienamente con modelli lineari. Ogni contesto sociale produce combinazioni specifiche di fattori (personali, ambientali, ideologici) che rendono unica la traiettoria del singolo radicalizzato.
Se la polarizzazione estrema costituisce il terreno che nutre la radicalizzazione, gli antidoti devono agire a livello culturale e sociale e sfidare inoltre il disorientamento prodotto dalla cultura della disinformazione e della manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la distrazione. Tra i più rilevanti ne ricordiamo almeno cinque.
L’educazione alla tolleranza e al pluralismo resta il pilastro più importante, sarà necessario insegnare sia la gestione non violenta del conflitto sia la valorizzazione delle differenze.
Non di meno sarà lo sviluppo del “pensiero critico”, ovvero sviluppare capacità di riconoscere narrazioni totalizzanti, fake news e linguaggi polarizzanti.
Esiste una responsabilità mediatica nel ridurre la retorica dell’odio e le rappresentazioni dicotomiche che legittimano il nemico.
Sarà necessario esercitare la cosiddetta “prevenzione digitale”, ovvero monitorare comunità online chiuse e favorire spazi di dialogo inclusivi per contrastare l’isolamento.
Sarà indispensabile sviluppare programmi di deradicalizzazione come sperimentato in Europa con ex jihadisti o estremisti di destra e investire su percorsi di reintegrazione sociale.
La lezione è chiara: educarci alla tolleranza come pilastro di human security per proteggere dignità, diritti e coesione sociale. La vera sicurezza di una società non si misura solo con l’ordine pubblico, ma nella capacità dei cittadini di coltivare pluralismo e pensiero critico, strumenti essenziali per resistere alla polarizzazione.