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Influenza e propaganda. La Wagner tra Bangui e Bamako

Mentre Touadéra in Centrafrica rivendica l’appoggio russo come garanzia di stabilità e volano d’investimenti, in Mali i reduci di Wagner riscrivono la memoria di una sconfitta. Due volti della presenza del Cremlino in Africa

Faustin-Archange Touadéra non ha dubbi, senza i russi e i ruandesi, la Repubblica Centrafricana sarebbe sprofondata nel caos durante le elezioni del 2020. È lui stesso a ricordarlo, in un’intervista al Financial Times: “Ho chiamato la Francia e l’Europa, ma solo Mosca e Kigali mi hanno detto: possiamo aiutarvi a difendere la democrazia e il popolo”. Il presidente centrafricano difende così la permanenza di circa 1.500 uomini legati al gruppo Wagner, oggi riorganizzati sotto l’etichetta Africa Corps, mentre si prepara a un terzo mandato a dicembre. La sua narrativa è lineare. I mercenari garantiscono sicurezza, aprono la strada a miniere e infrastrutture, e non significano sottomissione al Cremlino. “Qualsiasi Paese che voglia collaborare è benvenuto”, ha ribadito, evocando possibili cooperazioni, concessioni minerarie e persino una ferrovia verso il Camerun.

È una questione di immagine. Bangui vuole mostrarsi partner appetibile, non protettorato russo. Ma il peso di Wagner, radicato sul terreno con interessi commerciali e una presenza armata che fa da guardia pretoriana, rende difficile distinguere tra cooperazione e dipendenza. 

A mille chilometri di distanza, in Mali, l’immagine è diversa. Un documentario intitolato “Marcia sull’Azawad” e prodotto dall’ex mercenario Roman Vassilievitch Morin, circolato su Telegram e diffuso da Jeune Afrique, raccoglie le confessioni di veterani di Wagner tornati in Russia dopo la ritirata da Bamako. Tra bandane e occhiali scuri, raccontano la disfatta di Tinzawaten del luglio 2024, quando ribelli tuareg e jihadisti inflissero pesanti perdite ai russi e all’esercito maliano. Il filmato, in parte apologia e in parte sfogo rancoroso, descrive i soldati maliani come “codardi” e “incompetenti”, accusati di fuggire sotto il fuoco nemico e persino di ostacolare il recupero dei caduti.

Ancora una volta, narrative e immagini. Le immagini cementano il mito Wagner come comunità di “eroi traditi”, pur tacendo massacri e abusi ben documentati, puntando  anche alla costruzione di un mito funzionale a mantenere viva la “brand identity” Wagner nei circuiti paramilitari e nazionalisti russi. Allo stesso tempo, smascherano la fragilità di un modello di intervento che, tra 2021 e 2025, ha lasciato dietro di sé miniere saccheggiate, civili uccisi e un’alleanza incrinata con la giunta di Bamako, mentre a Bangui Wagner resta sinonimo di stabilità, almeno nel racconto presidenziale. Nel mezzo, il Cremlino cerca di disporre Africa Corps come pedine per centralizzare il controllo, prestando attenzione all’autonomia di una rete paramilitare difficile da estirpare.

Per Touadéra, è ancora una volta questione di immagine, con la necessità di presentarsi come capo di Stato legittimo, aperto agli investimenti del Golfo e dell’Occidente, pur senza rinunciare al braccio armato russo. Discostandosi così dagli altri regimi del Sahel. Per i veterani russi in servizio nel Mali, invece, la priorità è preservare la leggenda Wagner, anche a costo di riscrivere la storia. 

Due narrazioni divergenti, ma complementari, che raccontano meglio di qualsiasi comunicato il peso ambiguo dell’influenza russa in Africa centrale e saheliana, l’attuale rebranding del gruppo paramilitare e l’infiltrazione di questo nelle dinamiche militari e politiche anche, e non solo, nell’area subsahariana e del Sahel.  

 

 


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