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Droni nei cieli della Danimarca. Quando il moral bombing diventa ibrido

Droni sui cieli della Danimarca, tra basi Nato e scali civili. Dopo Copenaghen e Oslo, Aalborg e altri aeroporti costretti a chiusure e dirottamenti. Le autorità parlano di operazioni condotte da un attore professionale, la premier Frederiksen evoca il coinvolgimento russo…

Nella notte tra mercoledì e giovedì una serie di avvistamenti di droni non autorizzati ha paralizzato il traffico aereo in diversi scali danesi, compreso Aalborg, hub strategico sia civile che militare. L’episodio si aggiunge alla maggiore aggressività e cadenza degli episodi di sconfinamento russo nello spazio aereo europeo, alla chiusura degli aeroporti di Copenaghen e Oslo, all’arresto di due individui in Polonia sospettati di aver utilizzato droni per spionaggio e, ancora, agli attacchi cyber diretti verso alcuni aeroporti europei. Se uniamo i puntini, lo scenario è quello di una pressione crescente sullo spazio aereo europeo e nordico.

Ad Aalborg, terzo aeroporto del Paese e sede delle unità di trasporto dell’aeronautica danese e dei corpi speciali Jaeger, tre voli sono stati dirottati. Interruzioni e ritardi si sono registrati anche a Billund, Esbjerg, Sønderborg e Skrydstrup, quest’ultimo nodo chiave per i caccia F-16 e F-35 danesi, integrati nella catena Nato. Proprio Esbjerg è divenuto negli ultimi mesi punto di transito per il trasferimento di armamenti americani verso il fianco orientale dell’Alleanza.

Il ministro della Difesa Troels Lund Poulsen ha definito gli episodi “operazioni vere e proprie” condotte da un “attore professionale”, evocando l’ipotesi di una nuova dimensione del conflitto ibrido che la Danimarca si trova ora a fronteggiare. La premier Mette Frederiksen è stata più esplicita: quello che ha colpito Copenaghen sarebbe “l’attacco più grave mai subito contro le infrastrutture critiche del Paese” e Mosca non può essere esclusa dai sospetti.

La dinamica, ancora, ricalca uno schema già osservato negli ultimi mesi con violazioni dello spazio aereo in Polonia, Romania ed Estonia, episodi per i quali il Cremlino ha fornito spiegazioni evasive o parlato di incidenti. La simultaneità e la scelta degli obiettivi, basi militari e snodi logistici Nato, fanno però pensare a un’azione mirata a testare i tempi di reazione delle difese alleate.

Il capo della polizia nazionale, Thorkild Fogde, ha parlato di una “replica” agli eventi di Copenaghen, sottolineando come i droni fossero volutamente visibili, con luci accese. L’episodio appare così come una mossa dimostrativa: non tanto colpire, quanto segnalare vulnerabilità, renderla evidente.

L’obiettivo non è il danneggiamento fisico di infrastrutture critiche o, tantomeno, lo spionaggio. Il fine è la manipolazione e l’erosione di una infrastruttura particolare ed essenziale al corretto funzionamento degli Stati democratico-liberali: l’opinione pubblica e la macchina politico-decisionale. 

Tutto questo si avvicina alla moral bombing, strategia bellica usata durante la Seconda guerra mondiale, che voleva bombardare obiettivi civili per demoralizzare la popolazione e fiaccarne il consenso politico e la volontà di resistere. Oggi, però, è ibrida e agisce sulla psiche collettiva, in maniera tale che la gente percepisca la guerra come vicina e già, comunque, persa. Ancora una volta, impaurire, confondere, irritare, dividere. Ancora una volta, guerra ibrida da manuale. 

 


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