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La Russia felice raccontata dall’Economist nasconde un’economia in sofferenza. L’analisi di Jaconis

Di Stefania Jaconis

L’Economist descrive una Russia economicamente resiliente, con Pil in crescita, disoccupazione bassa e consumatori felici. Ma dietro i dati ufficiali si nasconde un’economia in sofferenza: inflazione percepita al doppio del valore dichiarato, imprese in chiusura, settori industriali in crisi, salari ridotti e beni di consumo sempre più difficili da reperire. La spesa militare fuori controllo e i bassi prezzi delle materie prime prefigurano stagnazione e peggioramento del tenore di vita

Contestare un articolo dell’illustrissimo Economist è sempre cosa dura – soprattutto se lo scritto in questione è una riflessione su una verità incontrovertibile: in quelle che, almeno nella percezione occidentale, appaiono come le ultime battute della guerra tra l’Ucraina e la Russia, lo scontro effettivo si svolge ormai tra la potenza militare del paese invaso, l’Ucraina, e la potenza economica di quello invasore, la Russia. L’osservazione pare sia del Segretario del Tesoro Usa Scott Bessent, e a riempirla di contenuti – quanto meno per la parte relativa all’economia russa – ha pensato qualche giorno fa l’illustre settimanale inglese. Solo che lo ha fatto ricorrendo ad argomentazioni che ci sembra meritino quanto meno di essere ‘rivisitate’…

Tutto sommato, sostiene dunque l’Economist, la situazione economica della Russia non è affatto catastrofica, considerando che siamo nel quarto anno di guerra. Infatti, dopo una breve recessione nel 2022 nei due anni successivi si è avuto un vero e proprio ‘boom’, tanto che a luglio di quest’anno il tasso di crescita del Pil si è attestato ancora sul valore positivo dello 0,4%. Ridotto l’eccesso di spesa pubblica in infrastrutture e nel complesso militare-industriale (che aveva tra l’altro l’effetto di surriscaldare l’economia), la politica di alti tassi di interesse è riuscita con successo a tenere a bada l’inflazione. È vero che i bassi prezzi delle materie prime hanno ridotto gli introiti da export, ma ciò non ha assolutamente provocato un deterioramento del mercato del lavoro: i salari reali sono oggi ‘a un massimo storico’, mentre, di converso, la disoccupazione sarebbe attualmente a un minimo (storico anch’esso). Per di più, l’effetto delle sanzioni occidentali sarebbe cosa di poco conto, data la loro scarsa efficacia a causa dei problemi di compliance, e cioè delle tante forme di evasione poste in essere sia dalla Russia che dai paesi terzi. In breve, non solo il paese non è fiaccato dallo stillicidio di energie e uomini persi nelle trincee, da disuguaglianze crescenti e ormai esplosive, dall’ingerenza sempre più pesante dello stato nell’economia, da un sistema finanziario che mostra segni di fragilità crescente… Assolutamente no: dimenticate tutto questo, ci dice l’Economist, e pensate piuttosto a quel ‘consumatore felice’ la cui immagine metaforica si sostanzia in un grafico che vede il tasso di soddisfazione dell’acquirente russo sfiorare il valore massimo, pari a 100: un valore che, in passato, è stato raggiunto solo nel lontano (e prebellico) 2008!

Perché mai, dunque, questa Russia Felix dovrebbe voler avviare trattative per la cessazione anche solo temporanea della guerra in corso, perché dovrebbe mettere in atto ‘prove di resistenza’ dell’apparato difensivo del campo avversario, perché dovrebbe fare di tutto per apparire una potenza economica non scalfita dalle pesantissime vicende degli ultimi quattro anni?…

Azzardiamo un’ipotesi: perché la realtà è esattamente l’opposto di quanto la Russia ufficiale ci vuole far credere… e quindi anche di quanto sostenuto dall’Economist. Non a caso, il settimanale britannico riprende, quasi citandolo, Vladimir Vladimirovich, il Grande Capo, il quale nell’ultimo Forum sull’economia di San Pietroburgo ha decantato ancora una volta i punti di forza dell’economia del paese: basso indebitamento sia interno che esterno, deficit di proporzioni non preoccupanti, disoccupazione che non supera il 2 e mezzo in termini percentuali. Concludendo che – malgrado le analisi lugubri di alcuni economisti e uomini d’affari – al momento la Russia ‘è ben lontana da qualsiasi forma di recessione’.

Il fatto è, però, che ormai non solo all’estero, ma anche all’interno del paese, le voci lugubri sono sempre più pressanti, e la parola ‘recessione’ è una di quelle impiegate più di frequente. Soprattutto, chi oggi manifesta preoccupazione per la situazione economica della Russia lo fa sulla base di due elementi cruciali: un’analisi delle rilevazioni statistiche più recenti, in particolare degli ultimi sei mesi, e la considerazione di quello che si prepara per il paese nella prospettiva temporale di 5-10 anni. Partiamo da un dato di fatto: se è vero che, per quanto riguarda gli aspetti finanziari, il quadro non è al momento disastroso, è anche ipotizzabile che tale quadro rischi di peggiorare drasticamente in un futuro non troppo remoto. Ciò avverrebbe soprattutto in due scenari possibili – che sono però anche molto plausibili: permanenza di bassi prezzi per gas e petrolio, e ricorso a creazione di moneta per finanziare i disavanzi. Per quanto riguarda le modalità di finanziamento, è cruciale la misura in cui le autorità vorranno tener conto dell’inflazione interna: che ufficialmente non supera il 10%, ma il cui valore ‘percepito’, secondo quanto riportato da sondaggi recenti, è pari ad almeno il doppio. E sarà probabilmente superato in un prossimo futuro dal dato reale, dopo che la Governatrice della Banca Centrale, l’abile ma criticatissima Elvira Nabiullina, è stata costretta ad abbassare di alcuni punti il tasso di interesse di riferimento. Il noto e felice consumatore russo, pertanto, vede il suo potere d’acquisto corroso progressivamente da rialzi dei prezzi che, in un’economia sempre più prepotentemente ‘bellica’, colpiscono soprattutto i beni di consumo finale – cioè il settore civile. Possiamo a questo punto ricordare che, secondo l’accreditato Centro di rilevazioni statistiche Levada, vari sondaggi indicano che per il cittadino russo medio l’aumento dei prezzi costituisce oggi la prima fonte di preoccupazione, più quindi della guerra.

Ma quello che preoccupa veramente gli osservatori, attualmente, è il lato cosiddetto ‘reale’ dell’economia, quello cioè che attiene alla produzione, agli aspetti distributivi e al mercato del lavoro. E qui è interessante notare che i valori dei dati rilevanti per l’economia reale sono peggiorati drasticamente proprio a partire dall’inizio del 2025. Come nota sul suo blog Mikhail Khodorkovskii (ex magnate russo incarcerato da Putin e ora in esilio a Londra), l’aspetto della situazione russa attuale che più colpisce è la riduzione del tasso di attività di moltissime imprese, che si traduce nell’accorciamento delle ore lavorate per contratto: i dipendenti delle ferrovie, ad esempio, sono stati costretti a prendersi due giorni al mese di ferie – ovviamente non retribuite. Ma il fenomeno è generale, e abbraccia sia settori che aree geografiche differenti, tanto che da dati pubblicati emerge che in totale circa 800.000 lavoratori di recente hanno sofferto decurtazioni salariali, e molte imprese sono passate alla settimana lavorativa di 4 giorni. I settori industriali più in sofferenza sono oggi quello energetico, la meccanica, la siderurgia, l’industria farmaceutica e le costruzioni. Le zone più colpite sono quelle povere da sempre (almeno rispetto a Mosca e San Pietroburgo), e si chiamano Altai, Komi, Arkhangelsk, Buryatia, Yakutia… aree dove sembra aver smesso di funzionare anche quel meccanismo perverso di livellamento indotto negli anni passati dai ricchi salari che percepivano i cosiddetti ‘kontraktniki’, cioè i volontari ingaggiati per andare a combattere in Ucraina. Il ‘livellamento’ – verso il basso – dell’assetto distributivo, che riguarda sia settori economici che aree geografiche, avviene oggi in realtà come conseguenza del calo generalizzato di innovazione e progresso tecnico (in gran parte indotto dalle sanzioni occidentali), che comporta perdite di produttività e inefficienze crescenti. Tanto che la decantata ‘piena occupazione’, sia di personale ma soprattutto di capacità produttiva, è un fenomeno che ormai caratterizza poche imprese tra quelle la cui produzione non è finalizzata allo sforzo bellico. Il calo drammatico nelle costruzioni civili, e di conseguenza del settore immobiliare, è stato riconosciuto ufficialmente anche dal vice Primo Ministro per le politiche sociali, Marat Khusnullin, il quale ha ammesso che circa il 20-30 per cento delle società immobiliari rischia seriamente il fallimento. Anche un altro personaggio ufficiale di grosso calibro, il banchiere e manager Oleg Viyugin, ha sostenuto recentemente che oggi il 34% circa delle imprese russe ‘si limitano a sopravvivere’. Come riportato da dati ufficiali, si stima che attualmente oltre l’11% delle imprese abbiano ridotto il personale, sia per problemi di calo della redditività che, spesso, anche solo per questioni logistiche legate alle difficoltà di trasporto dei semilavorati. Tra le cause, ovviamente, la bassa redditività, con i profitti schiacciati anche dagli alti tassi di interesse. Dal 2022, è la prima volta che il fenomeno colpisce l’economia russa con tale intensità; basti citare il possente complesso metallurgico e siderurgico di Magnitogorsk, per dimensioni il secondo della Russia e uno dei primi in Europa: secondo quanto riportato dal Moscow Times, nei primi sei mesi dell’anno ha visto il suo tasso di profitto ridursi di ben 9 volte! Non ci meraviglia dunque che, nello stesso periodo, per la prima volta in assoluto nella storia del paese il numero delle imprese che chiudevano ha superato di oltre un terzo quello delle realtà produttive nascenti. Il disagio di quei consumatori che l’Economist considera massimamente ‘soddisfatti’ è poi provocato da fenomeni come la difficoltà di reperire alcuni medicinali, i problemi con i viaggi in ferrovia o in aereo e, da ultimo, le difficoltà anche nei rifornimenti di benzina per auto sperimentate in alcune regioni. (Proprio due giorni fa il Governo ha prolungato sino a fine anno il divieto ai privati di esportare benzina, come pure i limiti posti all’export di diesel.) D’altro canto, la pressione crescente sul Bilancio statale data da una spesa militare ormai incontrollabile (quest’anno il Ministero delle Finanze ha dovuto rivedere 3 volte l’incremento di deficit programmato) lascia facilmente prevedere prossimi aumenti dell’imposizione fiscale per le famiglie (l’anno scorso l’inasprimento ha riguardato solo le imprese), e alcuni paventano anche forme di requisizione forzosa sui depositi bancari. Ma, soprattutto, la ormai tangibile e crescente diminuzione di benessere per i cittadini russi potrebbe non riguardare solo il breve periodo: secondo l’economista Vladislav Inozemtsev, se nel sistema non cambia radicalmente qualcosa, l’economia del paese deve essere pronta ad affrontare almeno 5 anni di stagnazione pesante.

In conclusione, oggi forse per la prima volta anche in posti privilegiati come Mosca e San Pietroburgo si avverte il rischio di un deterioramento progressivo del tenore di vita della popolazione – cioè di tutta la popolazione non compresa in quel 20% circa che si stima tragga guadagni materiali dalla guerra. D’altro canto, una riduzione anche forte del benessere dei russi è l’ultima arma a cui può far ricorso la leadership del paese per poter continuare la guerra in un contesto di bassi prezzi delle materie prime, e con lo stato di crisi dell’apparato produttivo e di quello finanziario che abbiamo descritto.

Se, quindi, si possono ancora avanzare molti dubbi sulla reale volontà di Putin di porre fine all’avventura bellica, quello che bisogna avere chiaro è che quella ‘volontà’, se mai si manifesterà, non potrà non basarsi sulla situazione attuale dell’economia russa.
(Di quella vera, però…)


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