In un mondo attraversato da crisi sistemiche e trasformazioni profonde, la governance farmaceutica diventa una delle chiavi per ripensare il Servizio sanitario nazionale: più giusto, più sostenibile, più orientato al valore. La riflessione a firma di Fulvio Berardo, General manager Astellas Pharma Italia
Viviamo in un’epoca in cui l’incertezza, caratterizzata da imprevedibilità, interdipendenza e complessità permeano la nostra quotidianità. Guerre che si moltiplicano, crisi energetiche, instabilità economica, emergenze sanitarie globali e cambiamenti climatici che accelerano: gli anni 20 del nuovo secolo hanno confermato che il mondo è entrato in una fase di turbolenza sistemica. In questo scenario la salute pubblica non è più solo una questione di cura, ma un pilastro strategico della sicurezza nazionale e della coesione sociale. Eppure, proprio mentre la sanità dovrebbe essere rafforzata, molti sistemi mostrano segni di affanno.
Il Servizio sanitario nazionale italiano, pur mantenendo una struttura universalistica che resta un modello di riferimento, è chiamato a ripensarsi. La governance farmaceutica, in particolare, è diventata la cartina di tornasole di un sistema che oscilla tra esigenze crescenti e risorse non sufficienti. È qui che si gioca una partita decisiva: quella tra conservazione e trasformazione, tra inerzia e visione. Negli ultimi anni la governance farmaceutica italiana ha subito una pressione crescente, che ha messo in luce le sue fragilità strutturali. Il sottofinanziamento cronico, soprattutto nella componente della spesa per acquisti diretti, ha raggiunto livelli critici: nel 2024, lo sforamento del tetto di spesa ha superato i quattro miliardi di euro, compromettendo l’accesso tempestivo a terapie e farmaci innovativi.
Ma non è solo una questione di quantità. È la qualità dell’allocazione delle risorse a destare preoccupazione. La spesa sanitaria continua a essere frammentata in silos, con una sperequazione evidente tra le diverse voci di spesa. Il risultato è un sistema che non premia l’efficienza né l’equità, e che spesso costringe i pazienti a percorsi tortuosi per accedere alle terapie.
A tutto questo si aggiunge il peso crescente del payback farmaceutico che ha, e avrà, un impatto crescente sul fatturato di quelle aziende che più di altre contribuiscono alla scoperta di nuove opzioni terapeutiche. Un meccanismo nato per contenere la spesa, diventato di fatto una tassa occulta sull’innovazione, scoraggiando gli investimenti e minando la competitività di un settore che, paradossalmente, è tra i più dinamici d’Europa, con 56 miliardi di produzione e 54 di export nel 2024. A rendere il quadro ancora più critico è il fatto che le risorse versate dalle aziende tramite il payback non sono oggi vincolate alla spesa sanitaria. Questo genera un paradosso: chi contribuisce a sostenere economicamente il sistema non ha certezza che il contributo rafforzi davvero il comparto.
In questo contesto, lo sguardo esterno percepisce l’Italia come un ambiente poco attrattivo per l’innovazione. La frammentazione normativa, l’incertezza regolatoria e l’instabilità dei meccanismi di finanziamento contribuiscono a spostare altrove ricerca e sviluppo, indebolendo la nostra capacità di competere a livello globale. Per questo, in una logica di sostenibilità di breve periodo, è fondamentale introdurre un tetto al payback, assumendo come limite massimo non superabile quanto già versato dalle aziende nel 2023. Un segnale necessario nei confronti di chi continua a sostenere concretamente il sistema, anche nei momenti di maggiore pressione. Eppure, nonostante queste criticità, il nostro Ssn ha dimostrato una resilienza straordinaria. È sopravvissuto a una pandemia globale, ha garantito l’accesso alle cure in un contesto di fragilità economica e ha mantenuto un impianto universalistico che molti Paesi ci invidiano. Ma questa stessa robustezza si è trasformata, nel tempo, in rigidità.
La governance sanitaria italiana si è costruita su un’architettura normativa, regolatoria e istituzionale che oggi appare calcificata, incapace di adattarsi con la rapidità che il contesto nazionale e internazionale richiede. Ogni tentativo di riforma si scontra con una burocrazia stratificata, con competenze frammentate e con una cultura della gestione che fatica a premiare l’innovazione. Cambiare è difficile, certo. Ma non impossibile. Esperienze europee dimostrano che si possono costruire modelli più agili e orientati al risultato. Il report Health at a glance: Europe 2024 dell’Ocse sottolinea l’urgenza di rafforzare la governance dei sistemi sanitari, puntando su sostenibilità e collaborazione tra tutti gli attori del sistema. In Italia sono sempre più frequenti i segnali che ci guidano in quella direzione, come ad esempio l’annuncio dell’istituzione del tavolo sulla nuova governance farmaceutica su proposta del ministero della Salute. Auspichiamo che il frutto del continuo dialogo tra il settore pubblico e quello privato possa portare ad attuare le riforme strutturali invocate da tempo.
Il futuro della governance farmaceutica non può essere scritto da un solo attore. Serve un’alleanza sistemica tra istituzioni, imprese, professionisti sanitari, cittadini e pazienti. Un’alleanza fondata su una visione condivisa: quella di un Ssn che non si limiti a sopravvivere, ma che sappia evolvere.
Occorre superare la logica dei compartimenti stagni e costruire un modello orientato al paziente e all’esito dei trattamenti, capace di integrare la spesa sanitaria e sociale, di valorizzare l’innovazione e di garantire trasparenza e certezza delle regole. Un modello che non si limiti a contenere i costi, ma che sappia investire in ciò che genera valore: prevenzione, accesso, equità.
Questo significa anche finanziare adeguatamente il sistema, in modo proporzionale ai fabbisogni reali e riconoscere che la salute non è un costo, ma un investimento. E che ogni euro speso in modo intelligente può generare ritorni in termini di benessere, produttività e coesione sociale.
In un mondo che cambia rapidamente, restare fermi equivale a regredire. La governance farmaceutica è oggi una delle leve più potenti per trasformare il nostro Ssn in un sistema più giusto, più efficiente e più umano. Ma per farlo servono coraggio, visione e fiducia reciproca. E forse, anche un’assunzione di responsabilità da parte del comparto, chiamato a formulare proposte concrete e quantificabili, capaci di contribuire in modo attivo alla costruzione del cambiamento.
Come ha ricordato anche il presidente Sergio Mattarella, il servizio sanitario del nostro Paese è patrimonio prezioso da difendere e adeguare. È tempo di farlo insieme, con responsabilità e speranza. Perché la salute non è solo un diritto: è la base su cui costruire il nostro futuro.
(Pubblicato su Healthcare Policy 16)