Attacchi ibridi e pressioni russe spingono l’Europa a rafforzare unità politica e capacità militare. Parigi vuole aumentare la spesa per la difesa, puntando su una maggiore autonomia europea dentro la Nato. L’intervista con l’ambasciatore francese in Italia, Martin Briens
Capacità operativa e unità politica sono le risposte da dare alla Russia di fronte all’ondata di attacchi ibridi che Mosca ha lanciato contro l’Occidente. Perché tra gli scenari peggiori che la Francia ha elaborato, vi è anche un possibile attacco di Mosca tra pochi anni a un altro Paese del Vecchio continente. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore francese in Italia, Martin Briens, mentre i leader europei discutevano di Ucraina e difesa dalla Russia a Copenhagen. La migliore risposta dell’Europa alle provocazioni subite deve essere investendo in Difesa e nella Nato. Consapevoli che la presenza americana in Europa sarà sempre meno incisiva, lasciando i Paesi membri padroni del loro destino.
Ambasciatore, nelle scorse settimane l’Europa è stata sotto un vero e proprio attacco ibrido, dai droni in Polonia alle allerte negli aeroporti danesi fino alle violazioni dello spazio aereo estone. Quali sono gli obiettivi di Mosca e come sta rispondendo l’Europa?
Vediamo in questi giorni una moltiplicazione di incursioni. È difficile decifrare le intenzioni esatte, ma sembra chiaro che la Russia voglia testare le nostre difese e le nostre reazioni. La guerra ibrida non è nuova: Mosca la pratica da anni, nello Spazio, contro i cavi sottomarini, con sabotaggi, spionaggio e disinformazione. Oggi però assistiamo a un livello di attività inedito. La risposta deve essere duplice: dimostrare unità politica e capacità operativa. La Nato lo ha fatto con le riunioni sull’articolo 4 dell’Alleanza, riaffermando la piena solidarietà, e con il dispiegamento rapido di forze. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha inviato tre Rafale in poche ore e altri Paesi hanno fatto lo stesso. Le nostre forze sono già presenti nei Baltici, in Polonia, in Romania ed Estonia, ma ora si rafforzano ulteriormente. È il segnale che siamo pronti a difendere ogni centimetro del territorio Nato.
Nel documento strategico francese – dal titolo Revue nationale stratégique pubblicato a luglio – si parla di una Russia potenzialmente pronta ad attaccare l’Europa entro 3-5 anni. Da dove nasce questa previsione?
È un’ipotesi di lavoro, indispensabile per la pianificazione delle capacità di difesa. Non si basa su un dato unico, ma sull’osservazione del comportamento russo degli ultimi anni. Nei piani del Cremlino c’è la volontà di aumentare il numero dei soldati di 300mila entro il 2030. Bisogna ascoltare ciò che dicono gli autocrati: Vladimir Putin non ha mai rinunciato alla sua visione di conflitto tra la “Russia eterna” e l’occidente decadente. Considerando questa visione, dobbiamo prendere come ipotesi che in 3-5 anni Mosca sarà riarmata e pronta ad aggredire un altro Paese europeo. L’obiettivo, però, non è spaventare le opinioni pubbliche, ma sensibilizzarle e mobilitare gli attori della società. La guerra oggi non è solo un problema dei Baltici o della Polonia, riguarda anche noi.
In questo quadro, sempre nel documento strategico si parla di portare la spesa per la difesa francese a 64 miliardi di euro entro il 2027. Nel 2024 la cifra è stata di circa 47 miliardi. Come e con quali risorse verrà raggiunto il nuovo obiettivo, di fronte ai problemi di bilancio che il Paese sta attraversando?
È una scelta politica molto chiara assunta dal presidente della Repubblica. Il 13 luglio 2025 il presidente Macron ha annunciato un incremento di 6.7 miliardi nel 2026 e di altri 6.2 miliardi nel 2027. Ciò comporterà una vera accelerazione della spesa. Certo, la situazione finanziaria è complessa, ma in questo momento storico non abbiamo alternative. Tutti i principali attori politici francesi sono consapevoli della necessità. Naturalmente ciò implica un riequilibrio: dovremo ridurre altre voci di spesa pubblica per preservare la sovranità finanziaria. La nuova legge di bilancio, che sarà presentata la prossima settimana dal primo ministro Lecornu, avrà al centro proprio questo sforzo per la difesa.
Mosca ha ignorato la proposta di pace avanzata da Donald Trump. Che cosa significa per l’Europa e la Nato? A Copenhagen, i leader europei hanno discusso del possibile utilizzo, a favore dell’Ucraina, degli asset russi congelati, cosa ne pensa?
La posizione assunta dal Cremlino significa che, purtroppo, non ci sarà un cessate il fuoco a breve. Dobbiamo continuare a sostenere le forze ucraine, e per farlo servono risorse. C’è un piano Nato per acquistare armamenti americani con fondi europei: può sembrare paradossale, ma è una soluzione pragmatica che tiene in considerazione l’urgenza.
L’idea di utilizzare gli asset russi congelati è interessante, anche se complessa dal punto di vista legale e con cautele da parte delle banche centrali. La prima cosa da fare ora è continuare a supportare Kyiv; la seconda, invece, è elaborare garanzie di sicurezza per il Paese per fare chiarezza sulle nostre intenzioni, finalizzare i nostri piani, ovviamente in stretta collaborazione con gli Stati Uniti. Non abbiamo scelta. È un dovere farlo per la sicurezza futura del paese e dell’intero continente.
L’Europa sta vivendo un momento di riorganizzazione delle proprie relazioni con gli Usa. Questo comporta il sempre più vivo dilemma tra l’autonomia strategica (fortemente promossa dalla Francia) del continente e il rapporto transatlantico. La risposta è nella costruzione di un pilastro europeo della Nato?
Per la Francia non esiste contraddizione tra rafforzare il pilastro europeo della Nato e il rapporto transatlantico. Gli Stati Uniti hanno da tempo come priorità strategica l’Indo-Pacifico, più che l’Europa. Non è una novità: il cambiamento è iniziato con Obama e proseguito con tutte le amministrazioni. Tra poco tempo, probabilmente, Trump annuncerà i piani di ridispiegamento delle forze militari Usa nel mondo. Quindi dovremo prepararci a un nuovo scenario in cui gli Usa non faranno ciò che ci aspettiamo. Dobbiamo quindi guardare a una nuova realtà in cui Washington farà meno per la sicurezza europea. A breve termine l’urgenza è l’Ucraina, e in alcuni casi comprare armamenti americani è più rapido. Ma a medio e lungo termine dobbiamo ridurre la dipendenza, investendo nelle nostre industrie, rafforzando ricerca e innovazione.
La Difesa comune si potrà costruire solo favorendo alleanze tra Paesi produttori di sistemi. In quest’ottica, come legge l’intesa che Francia e Italia stanno raggiungendo nel settore spaziale?
Lo Spazio è diventato davvero un dominio-chiave, per la difesa, per le nostre economie e per la società. Abbiamo assistito a una forte accelerazione tecnologica in questo ambito, con Space X, con le grandi imprese americane. E il paradosso è che l’Europa ha una tradizione, con aziende incredibili nel settore, abbiamo una storia comune nell’ambito dello Spazio. Quindi per noi la sfida è contrastare le forze centrifughe e lavorare insieme su progetti concreti. L’intesa ancora non raggiunta tra i nostri due Paesi nell’ambito dei satelliti sarebbe davvero il modo giusto per far parte di questa corsa tecnologica e industriale. Quindi è una priorità strategica. L’altro ambito su cui dobbiamo lavorare è l’accesso sovrano allo Spazio, con Ariane 6 e Vega. Dobbiamo concentrarci sulla prossima generazione. Ovviamente potremmo farlo in modo diviso o insieme, e dal mio punto di vista si tratta della prossima sfida: dopo i satelliti dobbiamo lavorare (uniti) sui lanciatori.