La grande lezione sociale incarnata dalla Lady di ferro è che, senza le virtù vigorose, una società non avrà mai la forza di esprimere pienamente quelle virtù più dolci che tutti desideriamo veder fiorire. In occasione del centenario dalla nascita, John O’Sullivan, presidente di Danube institute e speechwriter della prima donna a Downing Street, rilegge la storia di Margaret Thatcher, apostolo delle virtù vigorose nella vita politica e nazionale
Cent’anni fa nasceva Margaret Thatcher, una delle figure più determinanti della storia del Novecento. Non fu soltanto la Lady di ferro che seppe restituire dinamismo all’economia britannica, ma anche una leader che riuscì ad affermarsi con fermezza sulla scena internazionale. Il pensiero di Margaret Thatcher e il thatcherismo racchiudono molte verità ma ciò che le tiene insieme è il fatto che era, per eccellenza, un apostolo delle virtù vigorose nella vita politica e nazionale. Diligenza, onestà, ricerca della verità e impegno sono qualità che consentono agli esseri umani di andare oltre sé stessi. La grande lezione sociale incarnata dalla Lady di ferro è che, senza le virtù vigorose, una società non avrà mai la forza di esprimere pienamente quelle virtù più dolci che tutti desideriamo veder fiorire.
Primo ministro dal 1979 al 1990, Thatcher dovette affrontare i grandi problemi politici che la storia le aveva posto di fronte. Dal suo primo mandato assunse la carica convinta che la Gran Bretagna avesse bisogno di una rinascita, e aveva pianificato il suo programma in termini economici. Gli obiettivi principali del suo governo erano sconfiggere l’inflazione e rilanciare l’industria, risultati che però hanno bisogno di tempo per essere raggiunti. La sua politica serviva a sconfiggere l’inflazione: da un lato con una strategia macroeconomica di rigore finanziario, dall’altro con una politica microeconomica volta a ridare vigore all’industria britannica, concedendo maggiore libertà di gestione ai manager e, al tempo stesso, esercitando su di loro una pressione più forte a migliorare le performance. Tra le azioni che intraprese con il suo governo, ci fu il taglio di molti sussidi industriali accompagnato da riforme sindacali che consentirono ai dirigenti di esercitare pienamente la propria autorità e all’industria britannica di diventare più dinamica ed efficiente. L’episodio della guerra delle Falkland, però, cambiò le aspettative. Quando un territorio viene occupato, e la politica del tuo governo è quella di creare un risveglio nazionale, non si può ignorare ma è necessario affrontare la situazione con decisione. Non è possibile avere una società e un’economia rivitalizzate se la nazione subisce una sconfitta, soprattutto se questa deriva da mancanza di fiducia e riluttanza a difendere i propri interessi. Thatcher affrontò la guerra delle Falkland e la vinse.
Due cose sono da sottolineare: marciò verso la vittoria inviando truppe, navi e aerei nell’Atlantico meridionale per riconquistare le isole, ma al tempo stesso seppe anche manovrare abilmente sul piano diplomatico gestendo delle alleanze molto delicate. Gli Stati Uniti le offrirono un ampio sostegno, ma premevano per una soluzione diplomatica piuttosto che militare. L’Onu non sarebbe mai stato favorevole alla Gran Bretagna in una contesa che poteva essere descritta in termini post-coloniali. L’ultimo ostacolo diplomatico da superare fu, paradossalmente, rappresentato dal suo grande alleato, Ronald Reagan. Quando quest’ultimo, a conflitto ormai prossimo alla conclusione, le telefonò per sollecitare la presentazione di nuove proposte di compromesso, Thatcher rispose di no. Disse: “Abbiamo versato molto sangue, il meglio del nostro sangue. Non possiamo tornare alle solite tattiche di proporre compromessi proprio quando siamo sul punto di vincere. Altrimenti non godremo mai di una vera vittoria altrove”. E così fece. Nel primo mandato l’economia inglese ha cominciato a risollevarsi, dopo durissime battaglie, pur non essendo ancora del tutto fuori dai problemi – che furono affrontati anche nel secondo mandato – e furono poste le basi per un Paese autosufficiente e capace di governarsi. Il terzo mandato ebbe una natura diversa. Thatcher decise di lavorare affinché i benefici della ripresa economica fossero estesi anche a coloro che non erano in grado di vivere di sola intraprendenza individuale. L’evoluzione di Thatcher alla guida del governo inglese fu resa possibile anche dal fatto che ha sempre potuto contare su una solida maggioranza parlamentare a suo sostegno. Al primo mandato ottenne 43 seggi di vantaggio, mentre nel secondo e nel terzo riuscì ad andare oltre i 100 seggi.
Due momenti furono decisivi sia nella politica interna sia in quella estera. Il primo fu la sconfitta dei minatori in sciopero della National union of mine workers al termine del quale tornarono al lavoro senza aver raggiunto i propri obiettivi. Fu una resa senza vittoria. Una questione emersa già dai suoi primi anni ma che scelse di affrontare con cautela e prudenza. Ciò significò, in sostanza, che in politica interna Thatcher sarebbe rimasta incontrastata per molto tempo, non per sempre, ma per un lungo periodo. Il secondo momento fu la decisione di sostenere con fermezza Reagan nell’installazione di missili americani in tutto il Vecchio continente, in risposta agli SS-20 sovietici. Una scelta che incontrò fortissima resistenza da parte del movimento pacifista in tutta Europa. Alcuni governi vacillarono, incerti se mostrarsi forti o deboli nella difesa degli interessi dell’occidente. L’Italia, però, non fu tra questi. Anzi, il primo Paese a installare i missili sul proprio territorio fu proprio l’Italia, sotto l’allora ministro della Difesa Francesco Cossiga. L’Unione Sovietica fece di tutto per fermare l’installazione di quei missili, sostenuta da ampie fasce dell’opinione pubblica europea. Ma alla fine perse. Dunque, quei due risultati – la sconfitta dei minatori in politica interna e l’installazione dei missili americani in Europa occidentale in politica estera – furono i pilastri che rafforzarono la sua posizione nel panorama inglese e internazionale. Da allora, dalla fine formale della Guerra fredda nel 1990, e con la ripresa delle economie americane, britanniche e delle altre economie capitalistiche avanzate, si sono aperti trent’anni di prosperità e di pace.
Con la fine della Guerra fredda, non vi era alcuna urgenza paragonabile a quella che abbiamo conosciuto in seguito. Una serie di nuovi problemi è nata dalla concentrazione di potere oligarchico nelle istituzioni internazionali. Con il trattato di Maastricht è iniziato il progressivo accumulo di potere da parte dell’Unione europea, soprattutto in materia di frontiere e immigrazione, settori che spettavano ai governi nazionali. Anche le Nazioni Unite hanno cercato di proporsi come creatrici di un’agenda politica globale, su temi che vanno dal clima allo sviluppo economico. Inoltre, sono emerse questioni culturali e sociali che ai tempi della Guerra fredda erano ancora sconosciute. Negli anni Ottanta nessuno parlava di gender theory o di critical race theory. Oggi il conflitto centrale oppone gli interessi nazionali a quelli delle oligarchie internazionali. In questo senso, i principi di Margaret Thatcher si collocano chiaramente dalla parte della sovranità nazionale, esercitano la loro influenza a favore del centrodestra, inteso come un’area ampia. La sua eredità politica e morale continua a ispirare riflessioni e confronti, non soltanto in Gran Bretagna ma in tutto l’occidente.
Nel panorama conservatore odierna risalta in modo particolare Giorgia Meloni che si presenta con un esecutivo realista e pragmatico orientato al compromesso e all’applicazione intelligente degli interessi italiani per la difesa delle istituzioni nazionali. Fino a oggi Meloni si è dimostrata prudente e molto capace, e si può dire che stia svolgendo un buon lavoro, certamente conservatore, ma equilibrato. La sua leadership gode di ampia popolarità, sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito. Questo successo è legato in parte alla sua personalità che le ha permesso di tenere insieme una coalizione eterogenea di sostenitori dimostrando le sue notevoli capacità diplomatiche.
Tra i riferimenti culturali che la ispirano, due figure risultano particolarmente significative: Roger Scruton, filosofo che ha ispirato molti conservatori – inizialmente critico verso Margaret Thatcher ma poi suo ammiratore – e soprattutto G.K. Chesterton, scrittore cattolico inglese che ha lasciato una vasta eredità composta da opere teatrali, romanzi, ma soprattutto testi di teologia e apologetica. Il fatto che Meloni si riferisca a lui come “il mio Chesterton” è incoraggiante, perché testimonia un legame intellettuale che potrà incidere profondamente sulla sua visione politica. Una definizione di Chesterton ben rappresenta la forza del suo pensiero: egli descrive il paradosso come “una verità messa a testa in giù per attirare attenzione”. È un’ottima lezione per un politico, soprattutto per una donna in politica, costretta ad affrontare e superare tanti falsi. Il paradosso, dunque, renderà il governo Meloni una continua e affascinante sorpresa.
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