Ecco la storia di sei americani che durante l’assalto all’ambasciata americana a Teheran riuscirono a rifugiarsi all’ambasciata canadese e poi a esfiltrare con un’operazione della Cia; su questa storia è stato realizzato il film Argo
Lo scorso mese vi ho raccontato la storia dell’Operazione Eagle Claw, il più grande fallimento delle forze speciali americane avvenuto in Iran il 24 aprile 1980 quando gli Stati Uniti cercarono di liberare gli ostaggi sequestrati nell’ambasciata americana a Teheran. Nel racconto ho accentato all’Operazione Canadian Caper, la missione organizzata dalla Cia per salvare sei americani che erano riusciti a scappare dalla sede diplomatica americana durante le prime ore dell’assalto degli studenti iraniani.
L’assalto all’ambasciata iraniana
Quella mattina del 4 novembre 1979 un gruppo di circa 500 studenti, ignorando le prerogative diplomatiche, al grido di “Allahu akbar! Marg bar Amrika!” assaltarono l’ambasciata americana a Teheran e presero in ostaggio 52 tra diplomatici e funzionari. Gli ostaggi furono mostrati alle televisioni di tutto il mondo bendati e legati. Per la loro liberazione gli studenti iraniani chiesero che il governo degli Stati Uniti consegnasse il deposto scià alle autorità iraniane e che si scusasse.
I fuggitivi
Ma quel 4 novembre sei persone erano riuscite a fuggire: Robert Anders, Cora Amburn-Lijek e Mark Lijek, Joseph Stafford, Kathleen Stafford e Lee Schatz al momento dell’irruzione si trovavano nel consolato, un edificio separato rispetto a quello principale dell’ambasciata, ma sempre all’interno delle mura che proteggevano l’intero complesso grande 11 ettari. Quando i dimostranti entrano nell’area dell’ambasciata, due gruppi di diplomatici riuscirono a fuggire per le strade di Teheran: il primo gruppo, guidato da Robert Anders, e un altro gruppo che venne però intercettato e riportato all’ambasciata. Il gruppo di Anders si diresse verso l’ambasciata britannica, ma dopo aver incontrato una folla di manifestanti davanti i cancelli della sede diplomatica, proseguì verso la casa di Robert Anders attraverso un cammino tortuoso, superando in fila indiana un posto di guardia dei komiteh, i comitati rivoluzionari, per evitare sospetti.
Il contatto canadese
Successivamente il gruppo cambiò posizione altre volte, rifugiandosi anche nelle case vuote di quelli tenuti in ostaggio all’ambasciata, per sei giorni, fino a quando Anders decise di contattare John Sheardown, un collega dell’ambasciata canadese con il quale aveva stretto amicizia nei mesi precedenti. Sheardown contattò subito l’ambasciatore candese Ken Taylor e insieme, dopo aver ricevuto il via libera da Ottawa, organizzarono la permanenza. Il 10 novembre, sei giorni dopo la fuga dall’ambasciata, il gruppo di Anders arrivò alla casa di John Sheardown e lì incontrarono l’ambasciatore canadese. Il gruppo, per ridurre il rischio al minimo fu diviso tra la casa degli Sheardown e la residenza ufficiale dell’ambasciatore Taylor; entrambe le case si trovavano nel quartiere alla moda di Shemiran, nel nord di Teheran.
L’altro fuggitivo
Il 21 novembre l’ambasciatore Taylor ricevette una telefonata dall’ambasciatore svedese Kay Sundberg, il quale disse che c’era un americano, Lee Schats, che dopo l’assalto all’ambasciata aveva trovato rifugio da una svedese, Cecilia Lithander e che, data la situazione caotica nel Paese, stava diventando fonte di preoccupazione per il governo di Stoccolma. Taylor rispose che, siccome stavano già ospitando cinque americani, sarebbe stato facile aggiungerne un sesto al gruppo.
I romanzi di Le Carrè
Dopo che Lee Schatz ebbe raggiunto gli altri americani passarono due settimane senza incidenti. Gli ospiti trascorrevano la maggior parte del tempo leggendo. Sheardown possedeva una biblioteca piuttosto fornita, in cui trovavano posto parecchi romanzi di spionaggio di John Le Carrè. Di tanto in tanto il gruppo si riuniva per una partita di Scarabeo e per dare fondo alle numerose bottiglie di alcolici presenti nelle residenze.
Tessitori di Tappeti
Col passare del tempo, la minaccia che i fuggiaschi venissero scoperti aumentava. I militanti stavano setacciando i documenti dell’ambasciata e cercando di capire chi fosse della Cia. Avevano persino assunto squadre di tessitori di tappeti per riassemblare i documenti triturati dagli americani nei giorni precedenti.
Il Piano di fuga
La situazione andava risolta, gli americani non potevano restare nascosti all’infinito nelle residenze dei canadesi. Vennero valutate alcune opzioni, tra cui quella di portare i sei in auto verso il Golfo Persico e poi farli uscire dal Paese via nave oppure usare una ratline verso la Turchia. Alla fine, si optò di portare via dall’Iran i sei diplomatici statunitensi attraverso un volo aereo internazionale, usando passaporti canadesi. I passaporti contenevano una serie di visti iraniani preparati dall’intelligence statunitense in modo da apparire autentici.
Tony Mendez
La Cia chiese a un suo agente, Tony Mendez, di escogitare una storia verosimile che potesse funzionare come copertura per motivare il viaggio in aereo dei sei diplomatici e fornire loro gli opportuni travestimenti eventualmente necessari. Tony Mendez era un veterano della Cia, era nell’Agenzia dai tempi della Guerra del Vietnam e specializzato in travestimenti, falsificazioni e salvataggi. Faceva parte dell’Ots Office of Technical Service, la sezione della Central Intelligence Agency responsabile di supportare le operazioni clandestine con travestimenti, falsificazioni e gadget vari. Mendez era la persona giusta al momento giusto. Aveva alle spalle numerose operazioni sotto copertura eseguite a Mosca dove aveva raccolto informazioni sulle pratiche di sorveglianza del Kgb e aveva sviluppato delle tattiche di elusione usando principalmente travestimenti che potevano essere applicati e rimossi facilmente e rapidamente. Peraltro, queste informazioni sono state fondamentali per lo sviluppo di procedure standard per gli agenti statunitensi in Unione Sovietica.
Trasformatore d’identità
La specialità di Mendez era usare la “trasformazione dell’identità” per far uscire le persone da situazioni difficili. Una volta aveva trasformato un ufficiale di colore della Cia e un diplomatico asiatico in uomini d’affari caucasici, usando maschere che li rendevano sosia di Victor Mature e Rex Harrison, in modo che potessero organizzare un incontro a Vientiane, capitale del Laos, a quel tempo sotto legge marziale. Ma soprattutto Mendez aveva già fatto fuggire una persona dall’Iran. Era una spia della Cia, una “fonte sensibile”, cioè un membro affidabile della cerchia più ristretta dello Scià, che aveva fornito agli americani informazioni molto importanti sulle intenzioni del governo iraniano, tra cui quella che lo Scià stava perdendo il controllo del Paese; notizia che cadde nel vuoto. Quando poi a gennaio scoppiò la rivoluzione, questa spia della Cia si diede alla macchia e successivamente fu esfiltrata da Teheran grazie a Tony Mandez che, travestendolo da uomo d’affari giordano, riuscì a farlo uscire dal Paese su un volo di linea della Swissair.
La troupe di Hollywood
Il 25 gennaio Mendez arrivò a Teheran accompagnato da un assistente, nome in codice “Julio”, che sarebbe rimasto con lui durante la missione e che aveva già lavorato con Mendez in altre operazioni. Erano state valutate diverse possibili storie ma alla fine Mendez decise di far credere che i sei diplomatici fossero una troupe di Hollywood in cerca di possibili ambientazioni per un film di prossima uscita: Argo. Ogni dettaglio fu ideato e curato come se la produzione di quel film fosse assolutamente reale. Come fonte di ispirazione alla base della storia del finto film fu usato il libro “Il Signore della Luce”, un romanzo di fantascienza del 1967 – dello scrittore Roger Zelazny – che faceva ampio uso di personaggi e storie tratti dalla mitologia indiana.
La Studio Six Productions
Fu allestita una casa di produzione, la “Studio Six Productions”, e furono affittati i “Sunset Gower Studios”, precedentemente utilizzati dall’attore Michael Douglas in occasione delle riprese del film “Sindrome cinese”, nel 1979. Per rendere la storia di copertura “a prova di bomba” furono realizzate apposite pubblicità Studio Six e del film Argo che iniziarono a circolare sui media americani e su magazine molto popolari come The Hollywood Reporter. Su Variety, in particolare, fu pubblicata una locandina del film. In un nightclub a Los Angeles fu organizzata anche una festa di presentazione del film e della nuova casa di produzione. Nelle pubblicità del film come produttore del film fu citato Robert Sidell, che era un amico di Chambers e truccatore pure lui, e che avrebbe in seguito lavorato per le riprese di “E.T. L’extraterrestre”, nel 1982.
Puoi procedere. Buona fortuna
Mendez andò in Iran il 25 gennaio 1980, dopo aver ricevuto un cablogramma dal direttore della Cia che indicava l’approvazione personale del presidente Carter che diceva: “Puoi procedere. Buona fortuna“. Arrivò dall’Europa, dove aveva ottenuto un visto al consolato iraniano a Bonn. “Ho un incontro di lavoro con i soci della mia azienda“, spiegò alle autorità iraniane in Germania. “Arrivano da Hong Kong domani e mi stanno aspettando“.
Parlamento in sessione segreta
Giunto all’ambasciata canadese Mendez si mise all’opera per realizzare tutti i documenti per la fuga. Creò dei veri falsi passaporti, documenti autentici che il governo canadese aveva preparato per gli alias di Hollywood ideati dalla Cia. La legge canadese vieta tale falsificazione, ma il parlamento del Paese tenne una sessione segreta di emergenza, la prima dalla Seconda guerra mondiale, per fare un’eccezione. Mendez quindi vi inserì i visti iraniani e le date che indicavano che i sei membri della troupe cinematografica erano arrivati in Iran il giorno prima.
I moduli
Mancava un punto, quello del modulo di imbarco/sbarco in doppia copia dell’immigrazione iraniana. Questo modulo era formato da due fogli, uno bianco e uno giallo. All’ingresso, l’immigrazione conservava la copia bianca, che doveva essere confrontata con la copia gialla quando qualcuno se ne andava. Ma un contatto della Cia all’aeroporto Mehrabad rivelò che nessuno controllava quei moduli.
La partenza
Successivamente Mendez tenne un briefing con i fuggiaschi nel quale spiegò il piano di fuga e soprattutto assegnò i “ruoli” alla troupe. Avevano appreso la trama del film e le motivazioni dei loro personaggi e alle 4 del mattino, dopo aver fatto le valigie, ringraziato i padroni di casa, si diressero all’aeroporto di Mehrabad. Era la mattina del 27 gennaio 1980.
Il volo della SwissAir
Durante il viaggio verso l’aeroporto c’era molto nervosismo e agitazione ma tutto filò liscio. Il check-in allo sportello Swissair e i controlli alla dogana si svolsero senza intoppi. Il gruppo fece quattro chiacchiere quando Schatz si avvicinò all’immigrazione, presentò il suo passaporto e ottenne il suo timbro. Gli americani furono momentaneamente terrorizzati quando l’ufficiale scomparve con il resto dei passaporti dell’equipaggio. Ma poi tornò distrattamente al bancone con del tè e fece cenno al gruppo di entrare nella sala partenze senza preoccuparsi di abbinare le forme gialle e bianche. Dopo alcuni ritardi dovuti a problemi meccanici al jet di linea che avrebbe dovuto riportarli a casa, tutti e otto si imbarcarono sul volo 363 della compagnia aerea Swissair, diretto a Zurigo.
Argo! Torniamo a casa liberi
Sull’aereo, quando il comandante annunciò che erano usciti dallo spazio aereo iraniano, scoppiarono grida di gioia e ordinarono tutti un Blood Mary per festeggiare e Mendez, alzando il bicchiere disse “Argo! Torniamo a casa liberi!”. Quando atterrarono in Svizzera i sei furono portati in uno chalet di montagna segreto da alcuni funzionari del Dipartimento di Stato: arrivarono negli Stati Uniti soltanto tre giorni dopo.
Mendez e “Julio” presero un altro volo per Francoforte, in Germania. Il 28 gennaio, il giorno dopo la fuga, l’ambasciata canadese venne chiusa dopo che Taylor e gli altri membri del suo staff tornarono in Canada.
La primula rossa
L’ambasciatore divenne un personaggio incredibilmente popolare e fu soprannominato la “Primula Rossa” della Diplomazia. Gli Stati Uniti decisero di non parlare del proprio ruolo nell’operazione, considerati tutti gli altri americani ancora ostaggi – lasciando onori, visibilità e responsabilità al Canada e il 30 gennaio il Congresso statunitense approvò una risoluzione per rendere omaggio al Canada e il giorno successivo il Presidente Carter chiamò il Primo Ministro Joe Clark per ringraziarlo personalmente. Dopo la liberazione degli ostaggi John Sheardown fu premiato con l’Ordine del Canada, la massima onorificenza dello Stato riservata ai civili: è morto a Ottawa nel dicembre del 2012, aveva 88 anni.
L’intelligence star
Tonny Mendez ricevette la Intelligence Star della Cia per “atti volontari di coraggio compiuti in condizioni pericolose o per risultati eccezionali o servizi resi con distinzione in condizioni di grave rischi”. Si ritirò dalla Cia nel 1990 e nel 1991 sposò Jonna Hiestand Goeser, anche lei agente della Cia, conosciuta a Bangkok durante una missione. Mendez, poi, scrisse diversi libri autobiografici: The Master of Disguise: My Secret Life in the Cia, Spy Dust e Argo: How the Cia and Hollywood Pulled Off the Most Audacious Rescue in History.
The Moscow Rules
I coniugi Mendez hanno poi scritto un libro insieme “The Moscow Rules: The Secret Cia Tactics That Helped America Win the Cold War”, pubblicato dopo la morte di Tony avvenuta il 19 gennaio 2019, in cui raccontano le regole di Mosca, The Moscow Rules, delle regole non scritte dello spionaggio frutto dell’esperienza maturata sul campo degli agenti della Cia durante la Guerra Fredda. Ma come sempre, anche questa è un’altra storia.
Il film Argo
Sulla vicenda dell’Operazione Canadian Caper l’attore e regista Ben Affleck ha realizzato il film Argo nel 2012, ampiamente tratto dal libro di memorie Master of Disguise: My Secret Life in the Cia (1999) dell’agente della Cia Tony Mendez e dall’articolo The Great Escape: How the CIA Used a Fake Sci-Fi Flick to Rescue Americans from Tehran (2007) pubblicato da Wired. Il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui tre Premi Oscar, compreso quello al miglior film, tre British Academy Film Awards e due Golden Globe. Pur ispirandosi a fatti realmente avvenuti, Argo non è stato tuttavia esente da critiche per la sua presentazione degli eventi, soprattutto nel ridurre al minimo il contributo canadese all’operazione e nell’esagerare i pericoli che gli ostaggi hanno affrontato durante la loro esfiltrazione dall’Iran.
La liberazione degli ostaggi
La liberazione degli altri ostaggi sequestrati all’ambasciata avvenne, successivamente, grazie a un accordo diplomatico mediato dall’Algeria e firmato il 19 gennaio 1981 ad Algeri. L’intesa prevedeva, oltre alla liberazione degli ostaggi, lo scongelamento dei fondi iraniani depositati presso banche americane, bloccati all’indomani dello scoppio della crisi, e la riaffermazione del principio di non ingerenza. Gli ostaggi furono materialmente liberati il 20 gennaio 1981, lo stesso giorno dell’insediamento di Ronald Reagan come presidente degli Stati Uniti, e furono formalmente affidati in custodia all’ambasciata algerina a Teheran.
Questo racconto è un estratto del libro di Domenico Vecchiarino “Le spie della Guerra Fredda” edito da Rubbettino