L’unico scenario che la Cina è determinata a evitare è quello di una sconfitta totale della Russia. Una vittoria russa e uno stallo, al contrario, sono entrambe ipotesi piuttosto accettabili. L’analisi di Sergey Radchenko, Wilson E. Schmidt distinguished professor alla Johns Hopkins school of advanced international studies
Sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, l’occidente ha chiesto alla Cina di esercitare pressioni su Vladimir Putin affinché ponesse fine alla guerra. Vi è la percezione che se Pechino decidesse di usare il pugno di ferro, Putin sarebbe costretto a porre fine alla sua “operazione militare speciale”. Secondo questa logica, se la Cina limitasse i propri scambi commerciali con la Russia, quest’ultima crollerebbe. La Russia dipende fortemente dal mercato cinese, anche per quanto riguarda le tecnologie essenziali a duplice uso. Inoltre, Putin riempie le sue casse vendendo petrolio e gas alla Cina. Il commercio bilaterale sino-russo ha raggiunto i 237 miliardi di dollari nel 2024. Tuttavia, Pechino non ha mostrato alcun interesse reale ad aiutare l’Europa a uscire dalla sua difficile situazione. La sua linea generale è stata quella di mantenere una neutralità ambigua mentre in realtà si schierava fortemente dalla parte della Russia. La finzione è stata abbandonata brevemente quando, nel luglio 2025, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto in privato al capo della politica estera dell’Ue Kaja Kallas che la Cina semplicemente non vuole vedere la Russia perdere la guerra in Ucraina.
Ma vuole che la Russia la vinca? Consideriamo tre scenari. Nel primo scenario la Russia perde la guerra in Ucraina. Per sconfitta della guerra intendo la possibilità, sempre meno probabile, che la Russia si ritiri entro i suoi confini del 1991, arrivando potenzialmente a rinunciare al controllo sulla Crimea. Questo scenario sarebbe negativo per la Cina, poiché con molta probabilità porterebbe all’instabilità interna in Russia e potenzialmente alla sua frammentazione. Si verificherebbe una situazione simile a quella del dicembre 1991, quando l’Unione Sovietica crollò. Sebbene l’Unione Sovietica sia stata per decenni la rivale della Cina in Asia e abbia rappresentato una reale minaccia alla sicurezza di Pechino, i cinesi hanno lamentato la sua fine. La loro logica era che l’Urss rappresentava un polo geopolitico e che, se avesse cessato di esistere, l’occidente avrebbe rivolto la sua presunta sovversione contro la Cina. Negli anni Novanta i cinesi – che non erano affatto entusiasti della svolta democratica della Russia – hanno lavorato con grande impegno per coltivare le loro relazioni con la Russia post-sovietica. La Cina non voleva affrontare l’occidente da sola. Sebbene alcuni analisti credano che la Cina nutra segretamente l’intenzione di rivendicare i territori che aveva perso a favore dell’impero russo nel XIX secolo – traendo quindi vantaggio dalla frammentazione della Russia – non vi sono prove che Pechino stia attivamente lavorando per raggiungere questo obiettivo. Non è nell’interesse della Cina vedere una grande potenza nucleare, un vicino e un partner soccombere al caos con la possibilità di effetti di ricaduta incontrollati.
Nel secondo scenario la Russia non riesce a raggiungere i suoi obiettivi principali e la guerra termina in uno stallo. Questo viene talvolta chiamato “scenario coreano”. Questo scenario è gradito alla Cina, in parte perché rafforzerà la dipendenza della Russia dalla Cina stessa. Una Russia indebolita, esclusa dai mercati europei, dovrà fare affidamento su Pechino per il suo futuro. Ciò conferisce al Dragone un vantaggio. Allo stesso tempo, un conflitto congelato nel cuore dell’Europa continuerà a distrarre l’occidente e quindi, in una certa misura, a liberare le mani della Cina nell’Asia orientale.
Nel terzo scenario la Russia vince la guerra. Con questo intendo dire che la Russia travolge le difese ucraine e conquista e annette l’Ucraina o, come è molto più probabile, installa a Kyiv un regime fantoccio che, a tutti gli effetti, diventerebbe un’altra Bielorussia. Ciò andrebbe a vantaggio di Pechino, perché la caduta dell’Ucraina non farebbe che accentuare l’antagonismo della Russia a Europa e occidente. È molto difficile immaginare come, in questo scenario, le relazioni tra Russia ed Europa possano mai tornare alla normalità. La dipendenza della Russia dalla Cina aumenterebbe, e Pechino continuerebbe a trarre profitto sfruttando le speranze europee di riuscire a creare una spaccatura tra Cina e Russia.
In altre parole, l’unico scenario che la Cina è determinata a evitare è quello di una sconfitta totale della Russia. Una vittoria russa e uno stallo, al contrario, sono entrambe piuttosto accettabili. I cinesi – che tendono a pensare alla Russia in termini strettamente geopolitici – hanno una chiara comprensione dei loro interessi nazionali e hanno perseguito con grande abilità la loro politica filorussa, pur cercando di conquistare i cuori e le menti in Europa attraverso una falsa dimostrazione di neutralità. Non vi è dubbio su ciò che stanno facendo i cinesi. La vera domanda è cosa faranno gli europei in risposta. Purtroppo, l’Europa manca di una strategia coerente nei confronti della Cina. Non volendo e forse non potendo esercitare una reale pressione economica su Pechino (che potrebbe ritorcersi contro l’Europa stessa), gli europei hanno cercato di convincere il Dragone ad agire contro i propri interessi geopolitici. Non sorprende che questi sforzi non avranno successo.
Formiche 217
Analisi pubblicata sulla rivista Formiche in vista dell’incontro “Turning tides? – The future of China–EU relations”, la conferenza internazionale che si svolgerà presso l’Università di Bologna il 27 e 28 ottobre in occasione del 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Ue e Cina