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La memoria di Federico Caffè

“L´economista è il fiduciario di una civiltà possibile e se gli interessi costituiti prevalgono sulle idee, tuttavia l´economista deve stare attento alle idee.”
 
Giornata di grande intensità alla Facoltà di Economia della Sapienza. In via del Castro Laurenziano si rendeva omaggio, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa, alla memoria di Federico Caffè. I suoi allievi, la sua “scuola” gli rende omaggio, decidendo con un gesto di grande apertura di affidare gli interventi a chi da quella scuola ha preso altre strade, o chi magari di Caffè non era neanche allievo.
 
Più ancora dell’attesa – e contestata – Lectio del governatore Draghi (introdotto dal “collega” Visco), a scaldare gli studenti è stata la tavola rotonda della mattina, introdotta da una testimonianza di Ermanno Rea e dalla proiezione di alcune interviste di Caffè e alcuni brani del film “L’ultima lezione” .
 
L’eredità del grande professore risiede proprio, viene da pensare, in questi economisti un po’ sui generis, che “hanno tutte le qualità per lavorare nel privato ma ciononostante decidono di lavorare per il pubblico” – commento che il direttore dell’Istat Giovannini ricorda di aver ricevuto dallo stesso Caffè; che contrariamente alle teorie che insegnano ai loro studenti, dopo aver vinto una borsa di dottorato nelle migliori università americane rinunciano alla torre d’avorio o agli stipendi da manager per vivere la “solitudine del riformista” (parola che nell’accento di Caffè assume un suono ben diverso).
 
E’ interessante per chi studia vedere come da un maestro come Caffè possa venir fuori un alunno come Draghi: e vedere che due personaggi così diversi siano accomunati da questa passione per la cosa pubblica.
Profondo umanista, Caffè metteva al centro dell’economia le persone: “Poiché il mercato è una creazione umana – recita la targa donata ai relatori dal Preside Ciccarone – l´intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio.”
 
In una scena del film, l’anziano professore è chiamato in un dibattito radiofonico a difendere le sue teorie dall’irrisione del rampante neoliberismo. A un arrogante onorevole che si rallegra della fine dello stato “parassitario”, Caffè ricorda che non è la gestione pubblica, ma la mancanza di trasparenza a rendere torbida l’economia, anche nel privato e nella borsa, oggetto delle sue preoccupazioni.
La nostra storia recente ci insegna quanto avesse ragione, e quanto abbiamo bisogno in questo paese di economisti rigorosi e controcorrente come il riformista solitario di via del Castro Laurenziano.

 
Giacomo Gabbuti
Studente del Master of Science in Economics all´Università di Roma Tor Vergata, dopo la triennale in Economia Europea nella stessa università ed un Erasmus ad Istanbul. Ha collaborato con il progetto “Cultura dell´Integrità nella Pubblica Amministrazione” della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

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