Le dodici cartelle del primo messaggio di Giorgio Napolitano alle camere colgono la straordinarietà di provvedimenti istituzionali di clemenza e di sfoltimento delle carceri, che vanno letti nel più ampio progetto di pacificazione nazionale che ha qualificato la stessa accettazione di un secondo mandato presidenziale. Cercare di sminuire l’accorato appello del capo dello Stato ai parlamentari come un fatto amministrativo e ragionieristico, è puerile. E può celare retropensieri indicibili perché scabrosamente scandalosi e indicati come disponibilità pelose ad un atto di clemenza generale, a condizione di una pregiudiziale esclusione di qualcuno dagli effetti risanatori impliciti nell’amnistia.
Si è davvero totalmente smarrito il senso dello Stato, del coraggio di assumere provvedimenti che cancellino errori e malefatte commessi dalle varie parti in causa per rasserenare gli animi e non continuare a concepire la politica come una lotta fra guardie e ladri, nella quale non sempre si distinguono bene le prime dai secondi. L’amnistia è una misura antica che il potere costituito ha utilizzato per tagliare gli artigli agli oppositori a ai pretendenti a corone d’oro, di ferro o di latta. L’amnistia viene concessa, come si usa dire, ad ogni morte di papa. I sovrani la concedono, ovunque, quando nasce un nuovo erede al trono.
Napolitano invita il parlamento a sospendere uno scontro senza costrutto e a pacificare gli animi per cominciare a riordinare politica e istituzioni secondo ordine e giustizia vera, cioè garantista. Si dovrebbe ascoltarlo, senza indugio, comunque ci si collochi nel mare delle dispersioni politiche. Riproporre i pregiudizi di sempre, serve solo a tenere costantemente esposta l’Italia alle reprimende e alle sanzioni della corte di Strasburgo: che, semplicemente, ci disonora. E non su dettagli.