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Amnistia e indulto sono una sconfitta per lo Stato

Pubblichiamo la lettera-commento di Federico Guiglia uscita oggi sul quotidiano Il Tempo diretto da Gian Marco Chiocci

Caro direttore, non sono d’accordo sulle proposte “libera tutti”, come diceva il bel titolo di ieri. Non credo affatto che, concedendo l’ennesima amnistia (sarebbe la quattordicesima) e l’ennesimo indulto appena sette anni dopo il fallimento dell’ultimo nel 2006, si risolverà l’indecenza dei troppi detenuti in carceri vecchie e malandate. Temo, al contrario, che l’eventuale colpo di spugna su delitti e reati già puniti in modo irrisorio (se e quando puniti: in quest’ambito purtroppo regna, com’è noto, l’impunità), affonderà quel che resta della certezza della pena e dell’accertamento della verità nei processi. Con la conseguenza che, a pagare il prezzo del perdono di Stato, saranno i cittadini onesti, e due volte.

Così aumenteranno delitti e reati
La prima perché con migliaia di colpevoli considerati tali “in nome del popolo italiano” e liberati in barba alle condanne definitive, aumenteranno delitti e reati. E’ accaduto con l’indulgenza parlamentare della volta scorsa. Tant’è che nell’importante messaggio inviato alle Camere, lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, raccomanda ai legislatori ulteriori misure amministrative e di reinserimento sociale “onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l’indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006”. Perseverare nell’errore sarebbe, dunque, molto più che diabolico.

La clemenza dell’impotenza
E poi: quale segnale arriverebbe alle vittime dei delitti e dei reati, ai loro familiari, agli investigatori e ai magistrati che sono riusciti a fare il proprio dovere fino in fondo? “Giustizia giusta” non è soltanto impedire che i presunti innocenti finiscano in galera – come le inchieste del Tempo hanno testimoniato “al di là di ogni ragionevole dubbio”-, ma anche che i colpevoli acclarati paghino per il male e le violenze compiuti. Violenze morali, fisiche, economiche che troppe volte hanno rovinato persone inermi e la vita dei loro cari. In nessun Paese del mondo lo Stato di diritto vale solo per chi infrange la legge, per i prepotenti, che spesso, e previ ben tre gradi di giudizio, fanno rima con delinquenti. Non si comprende a quale titolo essi dovrebbero beneficiare di questa clemenza dell’impotenza.

La scadenza all’orizzonte
L’impotenza di legislatori, governi e partiti che, con la sola, illuminata e coerente eccezione dei radicali, mai si sono preoccupati di infondere “un senso di umanità” e meno che mai della “rieducazione del condannato” (articolo 27 della Costituzione) nel sistema penitenziario. E che oggi si svegliano solo perché l’Europa altrimenti e giustamente ci condannerà. Il tempo per riparare al torto di celle sovraffollate e inumanità infame e infamante scade il 28 maggio 2014. E allora non c’è bisogno di graziare nessuno.

Gli interventi da fare
Se a Dio sono bastati sette giorni per creare addirittura il mondo, il governo e il Parlamento hanno otto mesi per far costruire in fretta nuovi istituti (lo stanno facendo col “piano carceri”: bene). Possono trasformare rapidamente caserme dismesse in prigioni e perfino in comunità, dove magari trasferire i reclusi con miti condanne. Possono depenalizzare e delegificare, prevedere trattamenti più liberali (arresti in casa) per un certo numero di detenuti a seconda dei reati, favorire i più giovani con progetti di lavoro. Per esempio facendoli partecipare come muratori, geometri o ingegneri alla costruzione dei penitenziari. Possono distinguere fra detenuti in attesa di giudizio (purché non accusati di gravi delitti), e condannati dopo tre gradi di giudizio. Esistono varie e sagge strade alternative: lo stesso Napolitano ne ha indicate ben sette.

Ma tutte le strade non possono vanificare il principio civico e civile che chi sbaglia, deve pagare con la giusta pena. L’amnistia e l’indulto sarebbero la resa dello Stato davanti alla sua inadempienza.

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