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La deriva liberistica

Si possono richiedere ai cittadini sacrifici per il “bene comune” e, al contempo, professare un modello di società basato sulla libertà individuale e sulla concorrenza? In un consesso civile che assume a riferimento l’individuo (e non già l’essere umano naturalmente sociale di Aristotele, uomo tra uomini) e che regola i rapporti tra individui su principi competitivi (e non già cooperativi e solidaristici) per quale ragione i cittadini dovrebbero accettare di con-dividere il proprio se non si riconosce nell’altro il prossimo con cui con-vivere ma, piuttosto, il com-petitore che limita e costringe la realizzazione del proprio particolare? Nel momento in cui la libertà individuale costituisce non più lo strumento (da considerare alla luce del fine perseguito), ma l’obiettivo ultimo delle politiche sociali, come è pensabile pretendere la rinuncia ai diritti individuali (proprietà) in nome dei doveri sociali (patrimoniale, prelievo forzoso, contributo di solidarietà)?
 
La crisi che stiamo vivendo mostra le intrinseche contraddizioni del modello di società che si è imposto negli ultimi decenni del XX secolo. Un modello basato sulla autonomia del mercato e sulla pretesa di eleggere il metodo competitivo a principio organizzativo dell’intera società. “La libertà economica è essa stessa una componente essenziale della libertà in generale. Il capitalismo competitivo, in quanto è il sistema più favorevole alla libertà economica, è per questo un fine in sé”. Dinanzi alla crisi che imperversa, le parole di Milton Friedman suonano ancor più sinistre. I ripetuti interventi dei governi americani ed europei a sostegno delle banche e dei loro debitori ha dimostrato la fallacia dell’ideologia della sovranità del mercato. Non è possibile abbandonare le banche al loro destino, secondo la legge del mercato. Il crollo delle banche travolgerebbe il sistema socio- economico. Come evidenziato dalla scuola di Friburgo, il mercato è un ordine tra gli ordini della società, è strettamente legato alle altre sfere del vivere comune, è una importante componente, ma pur sempre una componente del tessuto sociale.
 
Per fronteggiare la crisi, ora, i governi sono costretti a tassare i cittadini. Si chiede alla società civile di salvare il mercato per essere salvata dal mercato. Ma già Max Weber aveva osservato che “dove il mercato è lasciato alla sua autonomia, conosce solo una considerazione delle cose, non delle persone, non doveri di fratellanza e devozione, non una delle relazioni umane originarie arrecate dalle comunità personali”. Si svela così all’aporia del sistema. Il metodo competitivo − che da tecnica di mercato è divenuto ordine della società − si basa sul primato dell’individuo. Nella società di mercato, l’individuo è indifferente al prossimo, che incontra solo nello scambio al fine di soddisfare le rispettive utilità. Adesso, però, la crisi impone all’individuo sacrifici in nome di quei doveri di fratellanza e devozione che proprio le leggi del mercato hanno contribuito a cancellare dalla coscienza civile. Occorre, allora, trarne le conseguenze. Quella che stiamo vivendo non è una crisi economica, ma una crisi del sistema: la crisi della cosiddetta società di mercato, impostasi a fine XX secolo.
 
È, questa, l’assoluta e impietosa onestà che, oggi, si chiede a chi ha responsabilità di governo: prendere atto che il modello sul quale, negli ultimi anni, è stata costruita l’unità europea è imploso, in quanto i suoi presupposti ideologici non sono stati in grado di garantirne la tenuta e − tenendo conto delle misure che si sono rese necessarie per fronteggiare la crisi − procedere, senza pregiudizi o suggestioni ideologiche, a rifondarlo. Non necessitano rivoluzioni, ma restaurazioni. Occorre tornare al paradigma “comunitario” (il Noi-tutti di Benedetto XVI) e ai principi dell’economia sociale di mercato, che a suo tempo hanno ispirato il Trattato comunitario, abbandonando quella deriva liberistica che ne ha connotato l’attuazione e restituendo al mercato la sua funzione di regolazione dell’economia, quale strumento di realizzazione del bene comune.


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