Il rapporto Agents of Chaos, pubblicato dalla Casimir Pulaski Foundation di Varsavia, descrive la strategia di lungo periodo condotta dalle agenzie russe e bielorusse, che mira a disgregare la coesione delle democrazie occidentali
Nel caso non fosse ormai chiaro: l’obiettivo di Mosca e Minsk è frammentare la resilienza cognitiva del blocco euro-atlantico, un punto alla volta, una percezione alla volta. È una campagna asimmetrica, graduale e granulare, fatta di operazioni di sabotaggio, disinformazione e manipolazione emotiva, che procede al di sotto della soglia prevista dall’articolo 5 della Nato, ma con effetti potenzialmente destabilizzanti sull’intero sistema di sicurezza europeo.
Le radici dottrinali
Il report della Casimir Pulaski Foundation ne rielabora i passaggi evolutivi. Il modello operativo attuale nasce dall’evoluzione della guerra ibrida post-Crimea. Dalle operazioni militari non dichiarate del 2014 si è passati a un approccio più sofisticato, che punta a influenzare il modo in cui le società percepiscono la realtà.
L’idea, non nuova, affonda le sue radici nella teoria russa del “controllo riflessivo”, sviluppata in epoca sovietica per manipolare le reazioni dell’avversario fornendogli informazioni selezionate.
Solo che oggi, questa stessa strategia, trova nello sviluppo tecnologico un amplificatore di potenza, la tecnologia digitale e l’uso dei social media raggiungono chiunque, dall’intera classe politica e militare all’insieme della popolazione civile.
Il think tank polacco ricostruisce il canone orientale della disgregazione, che riunisce teorici e pratiche maturate nel tempo. Da Evgeny Messner, ex ufficiale zarista, che fu tra i primi a descrivere la guerra come rivolta psicologica all’interno delle società, a Igor Panarin, ex analista del Kfb, al quale si deve la definizione della guerra informativa come forma permanente di diplomazia. Passando poi per gli ingegneri del caos più vicini a Vladimir Putin, come Vladislav Surkov e Gleb Pavlovsky, teorici del caos e della moltiplicazione delle narrazioni come strumenti di governo, fino a Aleksandr Dugin e Valery Gerasimov, che hanno pienamente contribuito alla creazione della cornice ideologica e strategica di oggi, che vede una competizione perpetua di civiltà dove le armi principali sono informazione, economia e percezione.
Un ecosistema distribuito
Le strutture operative di Mosca e Minsk interagiscono come un sistema modulare, dove ogni agenzia contribuisce a un diverso livello della campagna ibrida.
L’Fsb (Servizio Federale di Sicurezza), gestisce sia la contro-intelligence interna sia le operazioni all’estero sotto copertura diplomatica, soprattutto in Europa orientale; mentre il Gu (ex Gru) è il braccio cinetico, responsabile di sabotaggi e operazioni militari non convenzionali: dai casi Skripal e NotPetya alle azioni di disturbo contro infrastrutture energetiche e logistiche.
Lo Svr, servizio d’intelligence estera, si occupa di spionaggio politico e tecnologico, come dimostrato dal caso SolarWinds; ed Fso e Spetssvyaz assicurano le comunicazioni sicure per il vertice politico-militare e gestiscono il sistema di sorveglianza di massa Sorm.
Mentre, in Bielorussia, il Kgb e il reparto GuboPiK operano come polizia politica interna e come piattaforme di proiezione all’estero, con infiltrazioni nelle comunità di esuli e oppositori.
Questa, l’architettura multilivello, ricostruita dalla Casimir Pulaski Foundation, che garantisce ridondanza e negabilità. Ogni agenzia può sostituire un’altra in caso di compromissione, mantenendo la continuità operativa e l’ambiguità dell’attribuzione.
I livelli dell’offensiva cognitiva
L’offensiva ibrida sul campo cognitivo ed epistemico sarebbe ricostruibile in tre livelli.
Il primo è l’infiltrazione cognitiva. Ovvero, la penetrazione del discorso pubblico attraverso narrazioni manipolatorie e contenuti emotivamente polarizzanti, con l’obiettivo di diffondere sfiducia verso istituzioni, media e alleanze, e produrre così affaticamento cognitivo.
All’interno della cassetta degli attrezzi, social network, canali Telegram, reti di influencer e micro-media locali.
Un esempio concreto è la campagna in lingua polacca che, in prossimità delle elezioni del 2025, ha diffuso falsi dati e immagini sui rifugiati ucraini, presentati come peso economico e minaccia culturale. Contenuto in apparenza locale ma proveniente da cluster russi.
Il secondo livello sarebbe rintracciabile nell’utilizzo di agenti usa e getta.
Le operazioni sul campo vengono affidate ad attori occasionali, reclutati online tra migranti, criminali comuni o organizzati, cittadini scontenti. Questi ricevono piccoli compensi, anche in criptovalute, per compiti apparentemente innocui, come fotografare basi, appiccare incendi, trasportare pacchi, senza però conoscere la matrice politica, a volte.
Dopo le espulsioni di centinaia di diplomatici russi nel 2022, Mosca ha incrementato questo modello “a gettone”, tanto che, dal 2023 al 2025 Varsavia ha arrestato oltre 49 individui per attività di spionaggio o sabotaggio legate a Russia e Bielorussia.
Molti dei casi rientrano nello schema della “manodopera a basso profilo”: soggetti appartenenti ad almeno 19 cellule operative autonome, spesso ignare l’una dell’altra, ma riconducibili a una regia esterna e pagati poche migliaia di dollari per compiti di osservazione o incendio doloso.
La disgregazione scalabile
Una sequenza di azioni minori, apparentemente scollegate, ma sincronizzate nel tempo. Incendi, sabotaggi, droni, allarmi bomba, cyber attacchi o guasti infrastrutturali producono un effetto cumulativo. Saturano l’attenzione pubblica, logorano la credibilità delle istituzioni e generano senso di insicurezza.
Un episodio, riportato dal think tank polacco, è l’incendio del centro commerciale Marywilska 44 di Varsavia (2024), con oltre 1.400 negozi distrutti. Altri roghi hanno colpito siti industriali, depositi ferroviari e centri logistici, tra cui Sławków, Żagań e Oświęcim. In parallelo, il lavoro della propaganda online amplificava l’immagine di uno Stato incapace di garantire sicurezza.
Operazioni cognitive e disinformazione
Le campagne di influenza si muovono su più livelli. Dalla creazione di siti-clone, alla diffusione automatizzata di post, fino all’uso di intelligenza artificiale per generare immagini, voci e testi.
Reti come Doppelgänger e Overload hanno simulato testate giornalistiche locali per diffondere messaggi anti-ucraini e anti-Nato, mentre nel 2024, in Francia, sono stati individuati 193 siti falsi legati a questo ecosistema.
Il moltiplicatore di potenza dell’intelligenza artificiale
La novità più rilevante degli ultimi anni è l’uso sistematico di strumenti di IA generativa e la produzione automatizzata di contenuti falsi, moltiplicando capacità e velocità operative.
Secondo l’analisi del Rand e della Nato StratCom CoE, le reti russe impiegano software comuni per generare testi, immagini e video, tradurli in più lingue e testarli in tempo reale in base alla reazione del pubblico. In pratica, l’IA riduce il costo della propaganda e ne aumenta la precisione.
Le nuove campagne includono anche l’avvelenamento dei modelli linguistici (Llm grooming), con l’obiettivo di saturare l’ecosistema digitale di articoli e pagine manipolate per alterare le risposte dei chatbot e dei motori di ricerca.
Un rischio crescente, poiché i sistemi di intelligenza artificiale attingono a queste fonti senza verifiche dirette.
Parallelamente, gli attacchi digitali e fisici si intrecciano. Droni e cyber attacchi vengono coordinati con ondate di disinformazione per amplificare l’effetto emotivo. Il confine tra dominio virtuale e operativo si dissolve, così come quello tra vero e falso, tra guerra e pace.
La nostra guerra
Il rapporto individua poi quattro debolezze strutturali dei Paesi occidentali.
Primo, un deficit cognitivo, che si sostanzia nell’ incapacità di riconoscere la guerra della percezione come imminente minaccia strategica. I sistemi di sicurezza continuano a trattare sabotaggi, cyber attacchi e disinformazione come fenomeni separati. Seguono la frammentazione istituzionale, ovvero la mancanza di integrazione tra intelligence, polizia, apparati diplomatici e strutture civili e la scarsa interoperabilità, dove le informazioni restano compartimentate tra Stati membri della Nato e dell’Ue, rallentando la risposta. Viene sottolineata anche l’esistenza di un vuoto normativo, caratterizzato dall’assenza di strumenti legali efficaci per contrastare l’influenza straniera non dichiarata.
La fiducia come terreno strategico
Mosca e Minsk puntano a ottenere la parità strategica indebolendo la coesione dell’avversario, producendo un conflitto nel quale la conquista è la corrosione dell’altro. Più i Paesi occidentali dubitano di sé stessi, più il Cremlino guadagna spazio di manovra politico e cognitivo.
















