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Quando cadono mito e contro-mito. La vera forza di “Opus Dei. Una storia”

Di Federico Tagliapietra

Un volume a firma di Gullón e Coverdale edito da Ares, e con la prefazione di Agostino Giovagnoli, restituisce all’Opus Dei il suo volto reale, non quello deformato dalle polarizzazioni. Toglie il nero delle leggende e l’oro delle agiografie. Resta una storia vera, che sorprende proprio perché è più normale — e più affascinante — del mito

“Opus Dei. Una storia” è un libro edito da Ares e arrivato in libreria da pochi giorni. Per capire che cos’è, forse conviene partire da ciò che non è. Non è un romanzo mascherato da inchiesta, né una raccolta di testimonianze deluse, amareggiate o recriminanti. Non è nemmeno — ed è già una notizia — un volume agiografico, di quelli che raccontano una storia da vetrina, mostrando solo i gioielli di famiglia e nascondendo la polvere sotto lo zerbino.

È un libro di storia: presenta dati, numeri, documenti; circostanzia i fatti senza rispondere alle narrazioni scandalistiche con un santino altrettanto poco realistico. Proprio per questo compie un’operazione semplice e, in un certo senso, rivoluzionaria: quando si ricostruisce la realtà nuda e cruda, molte nebbie si dissolvono.

Gullón e Coverdale sono storici di professione, e non costruiscono né un mito né un contro-mito. Armati di migliaia di documenti — molti dei quali mai resi pubblici prima — ricompongono la vicenda dell’Opus Dei all’interno della storia del Novecento. Non è un’inchiesta a tesi: non pretende di ribattere a tutte le critiche, talvolta preconcette, con ricostruzioni altrettanto artificiali. Non è insomma la contro-narrazione in salsa Opus Dei di decenni di dibattito.

Nelle pagine scorrono volti, personalità, legami, eventi. Quasi cent’anni di storia di un’istituzione che, all’epoca della sua nascita, fu sorprendentemente innovativa.

L’Opus Dei non nasce come un’élite spirituale né come una lobby ecclesiastica, ma da un’idea allora scomoda, quasi scandalosa: che la santità non sia appannaggio dei conventi o delle sacrestie, ma possa germogliare in ufficio, in fabbrica, in famiglia. Un messaggio esplosivo negli anni Trenta, sorprendentemente moderno oggi. La vera novità è che un falegname, un medico, una madre di famiglia possono vivere una vita cristiana piena senza smettere di essere ciò che sono. La santità — suggerisce l’Opus Dei — passa per la vita ordinaria, per il lavoro e gli affetti di ogni giorno.

Dalle pagine del libro affiorano gli scontri e le difficoltà che questa intuizione ha incontrato nel suo cammino nella Chiesa. La ricerca di una forma giuridica adeguata fu lunga e spesso fraintesa: entusiasmo e resistenze, errori e sospetti, ostilità personali e incomprensioni. Ed è qui che il volume sorprende davvero: non addolcisce nulla, non lima le asperità, non nasconde tensioni interne o diffidenze esterne. Racconta. E raccontare, in questo caso, significa restituire dignità alla complessità.

C’è poi un’altra dimensione, forse la più inattesa: l’umanità. Josemaría Escrivá non emerge come un guru sicuro di sé, ma come un giovane sacerdote pieno di inquietudini, di responsabilità familiari, di intuizioni che ancora non sa come tradurre in realtà. Attorno a lui, donne e uomini che sbagliano, tentano, ricominciano; che costruiscono scuole e università; che attraversano dittature, crisi, scandali finanziari e profondi mutamenti culturali.

Ecco perché questo libro è importante: perché restituisce all’Opus Dei il suo volto reale, non quello deformato dalle polarizzazioni. Toglie il nero delle leggende e l’oro delle agiografie. Resta una storia vera, che sorprende proprio perché è più normale — e più affascinante — del mito.

Chi pensava di sapere già tutto sull’Opus Dei potrebbe scoprire, con un certo stupore, di non averne mai ascoltato davvero la storia. Quella vera.


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