Nel centenario della nascita di Giorgio Napolitano, la presentazione dei Discorsi Parlamentari ne ripercorre il profilo istituzionale e il ruolo centrale attribuito al Parlamento. Emerge una concezione della politica fondata sul valore della parola e del confronto democratico. Un’eredità civile di alto profilo, letta da Nicotri e Todini
Il 2 dicembre 2025, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, sono stati presentati, alla presenza del Presidente della Repubblica, i Discorsi parlamentari di Giorgio Napolitano nel centenario della nascita.
Negli indirizzi di saluto dei Presidenti delle Camere è stato messo in luce il suo alto profilo personale e politico, nel lungo (dal 1953 al 2023) impegno al servizio delle Istituzioni repubblicane, rivolto in primis – per utilizzare le parole del discorso di insediamento (1992) di Napolitano stesso quale Presidente della Camera dei Deputati – “alla valorizzazione del Parlamento come insostituibile espressione e presidio della sovranità popolare e come luogo di decisivo confronto sui problemi della Nazione”.
Non si tratta di una mera raccolta di discorsi piuttosto di un “itinerario nella storia repubblicana”, come sottolineato dal Presidente Pier Ferdinando Casini, dove “ogni intervento racchiude un frammento di percorso collettivo, momenti di crescita, fasi di crisi, conquiste civili, passaggi difficili” attraverso cui è possibile fare esperienza della sua “lucidità e maturità istituzionale”; meglio, di “una vera e propria dedizione costituzionale”, richiamando l’intervento della senatrice Anna Finocchiaro.
Entrambi i relatori hanno ricostruito il “metodo Napolitano”, fondato su “studio, approfondimento, costante attenzione ai lavori parlamentari” (Finocchiaro); “sull’argomentazione non sulla semplificazione, sulla ricerca del consenso non sulla contrapposizione sterile” (Casini).
In particolare, del ricordo del prof. Giulio Napolitano, che ha confermato quella “prospettiva irripetibile” già offerta pubblicamente nel memoir “Il mondo sulle spalle. Una storia famigliare e politica” (Mondadori, 2025), si intendono mettere in evidenza alcuni passaggi, per la loro capacità di restituire il senso e l’importanza che aveva, per il Presidente Napolitano, il “parlare in Parlamento, in Aula come in commissione”:
“(…) Sin dall’inizio del suo mandato di deputato eletto nella circoscrizione Napoli-Caserta, sentiva la responsabilità di prendere la parola in Parlamento per dare finalmente voce ai cittadini che rappresentava, a classi e aree del Paese a lungo dimenticate o represse nella storia dell’Italia unita e che sarebbe spettato alla Repubblica finalmente riscattare e proteggere (…) Coltivare e preservare l’utilità e la civiltà del confronto politico nel luogo deputato del Parlamento è sempre stata la sua priorità (…) era convinto che non c’è grandezza della Nazione, non c’è salvezza della Repubblica, senza la disponibilità, anche nei momenti di maggiore durezza del confronto politico, a parlare e ad ascoltarsi in Parlamento, con reciproco rispetto e con spirito costruttivo nell’interesse generale del Paese”.
Ebbene, su questo rapporto tra “la politica e la parola”, peraltro tema di un convegno tenutosi (21 marzo 2018) presso la Biblioteca del Senato su iniziativa del senatore Sergio Zavoli, si è soffermata la nostra attenzione.
Rinviando l’esame della politica che produce parola e della parola che produce politica a più qualificate analisi, letture e interpretazioni, ci limitiamo a notare che fu pubblicato, nel 1951 (sulla rivista “Il Ponte”) un articolo a firma di Vittorio Emanuele Orlando che recava come titolo (proprio) “Il parlare in Parlamento”; così come, nel 1952 (sulla rivista “Montecitorio”) uno dedicato all’oratoria parlamentare, a cura di Federico Mohroff.
A coloro che, oggi, seggono negli scranni di Palazzo Madama e di Palazzo Montecitorio, a quanti tra di loro intendano essere “eredi di quella tradizione di magna eloquenza che dall’antichità greco-romana, da Demostene a Cicerone a Lisia, tramandò in tutte le epoche” (Federico Mohroff), l’arte oratoria, prima ancora il “meticoloso lavoro preparatorio che c’era dietro” (Giulio Napolitano), del Presidente Napolitano è un modello a cui ispirarsi.
Pur, nell’inevitabile adattamento ai tempi che viviamo (innanzitutto, con riferimento alla situazione sociale del Paese e al rapporto tra comunicazione e politica, di fronte alle nuove sfide delle intelligenze artificiali e del disordine mondiale).
Quell’esercizio intellettuale e morale, la cui intensità e il cui valore emergono chiaramente nei (due) volumi che raccolgono “l’opera finalmente completa e in azione” (Giulio Napolitano) di un uomo che ha “interpretato la politica come arte, vissuta e trasmessa all’interno di una visione umanista ampia” (Rosita Marchese), è un patrimonio prezioso per tutto il nostro Paese, di cui non possiamo fare a meno, dal momento che – come rilevato da Vittorio Emanuele Orlando – “nei popoli governati colla forma parlamentare, si può dire che la vita interiore delle assemblee abbia delle ripercussioni, più o meno penetranti ma sempre forti”.
Intendendo dire con ciò che “quando si parla della formazione di un oratore parlamentare, non è solo ad un tirocinio diretto e personale che ci riferi(sce), ma anche alla virtù dell’ambiente, il quale per sé stesso sviluppa in maniera quasi immediata, le facoltà di una disposizione oratoria e le indirizza verso quel genere”.
Nel suo parlare non soltanto alla propria parte, nel suo “dialogare e ragionare con gli altri, convincere e farsi convincere, e naturalmente criticare” (Giulio Napolitano), il Presidente Giorgio Napolitano ci ha ricordato e testimoniato, nei diversi ruoli ricoperti all’interno delle Assemblee elettive, che la strada maestra è quella – facendo nostre le parole del vibrante discorso che ha tenuto in occasione dell’insediamento per il secondo mandato come capo dello Stato – di una “feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento”.
















