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Difesa, spazio e procurement. Quando il tempo diventa una capacità operativa

Di Lucio Bianchi e Maurizio De Carlo

Lo spazio è diventato un terreno centrale della competizione strategica, dove innovazione commerciale e sicurezza nazionale si intrecciano. La riduzione dei costi, la digitalizzazione e il ruolo crescente del mercato civile mettono in crisi i modelli tradizionali di procurement militare, troppo lenti rispetto all’evoluzione delle minacce. Per restare credibili, le difese devono ripensare processi, tempi e criteri di successo. L’intervento di Lucio Bianchi e Maurizio De Carlo, rispettivamente generali dell’Aeronautica militare e dell’Esercito italiano

Negli anni il settore spaziale è passato da ambito specialistico, quasi esclusivamente istituzionale, a terreno centrale della competizione economica e tecnologica nonché dominio di contrasto militare. Questa trasformazione, spesso sintetizzata nel mondo civile spaziale con l’espressione space economy, non è soltanto un fenomeno industriale o finanziario: ha implicazioni dirette e profonde per la sicurezza nazionale e per il modo in cui le forze armate concepiscono, acquisiscono e impiegano le proprie capacità.

Due fattori hanno reso possibile questa accelerazione. Il primo è la drastica riduzione dei costi di accesso allo spazio, che ha abbattuto barriere considerate per decenni insormontabili. Senza l’ingresso di operatori commerciali capaci di innovare radicalmente il modello di lancio, la cosiddetta space economy semplicemente non esisterebbe nelle dimensioni attuali. Per la difesa, questo significa poter contare su servizi spaziali a costi inferiori, ma soprattutto su una pluralità di fornitori e soluzioni che amplia enormemente il ventaglio delle opzioni operative. Si apre anche una prospettiva strategica: sostenere la nascita di operatori nazionali commerciali, accanto ai player tradizionali, rafforzando autonomia e indipendenza, eventualmente attraverso un ruolo attivo del ministero della Difesa, che in analogia con quanto fatto dal US DoD potrebbe agire anche da anchor tenant. Tuttavia, anche in questo scenario, il lancio continua a essere percepito più come un servizio che come una capacità militare in senso stretto, un’impostazione che merita una riflessione critica, anche  alla luce delle nuove esigenze di rapidità e resilienza e del molteplice impiego delle tecnologie di lancio, nel settore militare.

Il secondo fattore è la trasformazione digitale, che ha inciso in profondità non solo sui prodotti, ma sull’intero ecosistema industriale e militare. I sistemi d’arma moderni – satelliti compresi – sono sempre meno definiti dall’hardware e sempre più dal software. Questo, insieme alla miniaturizzazione, ha democratizzato l’accesso ai servizi spaziali, favorendo l’ingresso di operatori commerciali innovativi e rompendo il monopolio di fatto dell’industria della difesa tradizionale Sensori, comunicazioni, sistemi di comando e controllo, piattaforme spaziali e terrestri condividono una caratteristica comune: la loro efficacia dipende anche, dalla capacità di aggiornamento continuo, integrazione rapida e adattamento al contesto operativo.

Questa evoluzione, però, ha messo in luce una tensione strutturale. Da un lato, le Forze armate continuano ad aver bisogno di sistemi  complessi, sofisticati e longevi, con cicli di vita che nel settore spaziale superano spesso i quindici o vent’anni. Dall’altro, l’innovazione digitale – trainata in gran parte dal mercato civile – evolve a un ritmo che rende rapidamente obsoleti requisiti, architetture e soluzioni concepite secondo modelli tradizionali. Il risultato è uno scollamento crescente tra la velocità del cambiamento tecnologico e quella dei processi di procurement militare.

Gli scenari operativi contemporanei rendono questo scollamento sempre meno sostenibile. Le minacce evolvono rapidamente, le contromisure si diffondono in tempi brevissimi e la cosiddetta finestra di vulnerabilità tecnologica si è drasticamente ridotta. Un vantaggio qualitativo che un tempo poteva durare anni oggi può essere neutralizzato in pochi mesi. In questo contesto, la cultura degli acquisti militari – ancora fortemente basata su processi formali legati a requisiti rigidi, cicli lunghi e un’elevata avversione al rischio – fatica a stare al passo. I processi decisionali e amministrativi, spesso ancorati a paradigmi industriali del passato, rallentano l’acquisizione e la distribuzione di capacità che sarebbero invece necessarie con urgenza.

La centralità delle tecnologie digitali in senso lato,  rende il problema ancora più evidente. Molte delle tecnologie che oggi determinano il vantaggio militare non nascono più nei laboratori della difesa, ma nel settore commerciale. L’intelligenza artificiale, il cloud computing, i semiconduttori avanzati, le costellazioni satellitari commerciali sono sviluppati per mercati globali in cui le forze armate non sono i clienti prioritari. Questo riduce il potere contrattuale della difesa e impone un cambio di mentalità: non è più possibile dettare tempi e standard al mercato, occorre piuttosto adattarsi ai suoi ritmi, integrando soluzioni esistenti e accettando livelli di rischio diversi dal passato.

Ne derivano implicazioni importanti lungo tutta la catena del procurement. Nella fase di sviluppo, le forze armate devono ampliare lo sguardo oltre i contractor tradizionali, cercando innovazione anche in ambiti non convenzionali. Negli acquisti, servono modelli contrattuali più agili, capaci di gestire software e tecnologie emergenti con aggiornamenti frequenti. Nella logistica, infine, dopo decenni di ottimizzazione per l’efficienza, diventa cruciale costruire catene di approvvigionamento resilienti, in grado di resistere a shock, interruzioni e pressioni geopolitiche.

Non sorprende che, a fronte di queste sfide, diversi Paesi abbiano avviato riforme significative. Gli Stati Uniti rappresentano il caso più avanzato: hanno riconosciuto che non tutte le capacità possono essere sviluppate con un unico modello acquisitivo e hanno introdotto percorsi differenziati, come l’Adaptive acquisition framework e il Middle tier of acquisition, oltre a strumenti contrattuali flessibili introducendo le Other transaction authorities. Strutture dedicate, come la Defense innovation unit, fungono da ponte con l’industria commerciale, mentre la Space development agency ha dimostrato, con la Proliferated warfighter space architecture, come uno sviluppo a spirale, basato su capacità incrementali e rapide interazioni, possa portare risultati concreti in tempi ridotti, coinvolgendo in particolare, operatori non tradizionali.

In Europa il cambiamento è più graduale, ma segnali importanti non mancano. La Germania prima di aumentare significativamente la propria spesa per la difesa ha saggiamente introdotto strumenti per accelerare gli acquisti. La Francia sta rivedendo standard e processi per ridurre complessità e tempi. Il Regno Unito ha rafforzato la governance centralizzata e fissato obiettivi ambiziosi sui tempi di aggiudicazione dei contratti. Tutti condividono una consapevolezza crescente: aumentare le risorse finanziarie senza, prima,  riformare i processi , rischia di produrre inefficienze, non capacità.

Il quadro italiano si colloca in questo contesto con luci e ombre. Esistono norme specifiche per il procurement della difesa e margini di flessibilità, ma mancano percorsi espliciti e strutturati, ad esempio, per la prototipazione rapida e lo sviluppo interattivo. La distinzione netta tra ricerca e sviluppo e produzione, derivante dal recepimento delle direttive europee, rende difficile una transizione fluida dal prototipo alla capacità operativa ed acuisce il problema della death valley, ovvero del passaggio da soluzione promettente e testata in prototipo a prodotto utilizzabile , un passaggio a volte nefasto  per molti dei nuovi operatori industriali . Ne consegue una forte cautela nell’utilizzo delle flessibilità esistenti, con il rischio di rallentare proprio quei programmi che richiederebbero velocità e adattabilità.

Alla luce di tutto ciò, emerge la necessità di ripensare anche i criteri con cui si valuta il successo del procurement. Accanto alle metriche tradizionali di costo, tempo e prestazioni, diventa essenziale considerare la velocità strategica: quanto rapidamente una capacità rilevante viene schierata rispetto all’evoluzione della minaccia. In molti casi, una soluzione sufficientemente buona, disponibile in tempi brevi e migliorabile nel tempo, può essere preferibile a un sistema perfetto che potrebbe però arrivare quando il contesto è già cambiato.

Nel settore spaziale, questo approccio implica, forse,  anche una diversa distribuzione dei ruoli industriali: grandi integratori impegnati nello sviluppo e realizzazione di  capacità strategiche di alto livello (high end) e il  tessuto di imprese innovative, piccole/medie  e flessibili, chiamate a fornire capacità tattiche (low end) e servizi direttamente fruibili dai warfighter.  Nel low end infatti,  le costellazioni di piccoli satelliti , in cui vi sono  “champions” industriali che appartengono al mondo delle piccole/medie imprese,  rendono  possibile  l’uso tattico dello spazio, un concetto che fino a pochi anni fa appariva irrealistico. I comandanti sul terreno possono immaginare di richiedere immagini satellitari quasi in tempo reale e, combinandole con strumenti di fusione dei dati e intelligenza artificiale, ottengono una riduzione drastica del tempo che intercorre tra l’individuazione di un obiettivo e l’azione sul campo. Queste sono condizioni operative in grado di contribuire a realizzare le operazioni multidominio,  capacità irrinunciabile per le Forze armate, per operare in  scenari altamente contesi.

Parallelamente, è indispensabile un attento monitoraggio/coordinamento del complesso ecosistema istituzionale europeo, per evitare duplicazioni e garantire che le grandi iniziative duali (IRIS2,  ERS, Galileo  etc…) avviate da attori istituzionali non specificatamente militari come ESA , EUSPA , la Commissione Europea etc…e con rilevanti esborsi economici, si traducano poi  in capacità operative reali,  integrate/integrabili.

In conclusione, il procurement della difesa – e in particolare quello spaziale – non può più essere considerato un semplice processo amministrativo, rappresenta invece un processo chiave per conferire le capacità essenziali alle Difese. È una leva strategica a tutti gli effetti. In un contesto geopolitico caratterizzato da competizione sistemica e conflitti ad alta intensità tecnologica, la capacità di schierare rapidamente soluzioni operative rilevanti diventa essa stessa una forma di deterrenza. Il tempo, oggi, non è solo una variabile: è una capacità.


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