L’analisi di Mattia Saitta pubblicata nel report del Centro Studi Geopolitica.info dal titolo “La guerra in Ucraina nel 2025. Impatto strategico, economico e geopolitico del conflitto sul sistema europeo”, a cura di Alexandra Elena Vechiu e Matteo Mazziotti di Celso
Nel 2025, la guerra in Ucraina non appare più come una contesa per la vittoria, ma costituisce l’ambiente strutturale entro cui si ridefinisce la sicurezza europea. Secondo numerosi analisti, il conflitto tende a configurarsi sempre più come un contesto regolativo, entro cui Nato e Russia disciplinano i propri comportamenti strategici. Non si combatte per chiudere la guerra, ma per regolarne i margini: il fine non è prevalere, ma impedire che la controparte possa farlo. Questa trasformazione emerge con chiarezza nei movimenti dei protagonisti. Le capitali occidentali dosano l’assistenza militare a Kyiv entro soglie di rischio calcolate – abbastanza per impedire il collasso ucraino, non abbastanza per innescare uno scontro diretto.
Mosca, dal canto suo, alternerebbe escalation simboliche, logoramento infrastrutturale e minacce sottosoglia per mantenere pressione e prestigio senza superare la soglia di una risposta qualitativamente superiore. Intanto, tutti i canali diplomatici creati per normalizzare il rapporto Nato-Russia si sono progressivamente esauriti, ma nessuno degli attori principali sembra interessato a sostituirli con una rottura formale: l’assenza di un accordo è divenuta, di fatto, la forma dell’equilibrio. In questo scenario, la domanda cruciale è come la Nato e la Russia stiano ridefinendo il proprio equilibrio strategico in Europa orientale, adattandosi a un conflitto prolungato e “gestito” che non mira alla vittoria militare, ma alla stabilizzazione della deterrenza reciproca. Tale interrogativo non descrive soltanto la natura del conflitto attuale, ma anticipa la forma dell’ordine strategico che potrebbe sostituire, nel medio periodo, l’idea tradizionale di pace come cessazione delle ostilità.
Le sezioni che seguono analizzano questa riconfigurazione su due piani opposti tra loro ma complementari: da un lato, la Nato ha progressivamente convertito la difesa collettiva in una stabilità controllata di lungo periodo; dall’altro, la Russia utilizza tuttora l’instabilità e il logoramento come strumenti di contenimento strategico. Il risultato non è un compromesso, ma una coesistenza forzata: una deterrenza senza vittoria che definisce la sicurezza europea del 2025 e prefigura gli scenari futuri.
La deterrenza adattiva della Nato
Nel 2025, la Nato appare come il risultato di un lungo processo di adattamento strategico iniziato oltre un decennio prima, quando il Readiness Action Plan del 2014 aveva posto le basi per una presenza avanzata lungo il fianco orientale. Nel corso degli anni, l’Alleanza ha progressivamente trasformato la propria postura da strumento di rassicurazione a meccanismo di deterrenza permanente, passando dalla Enhanced Forward Presence (EFP) al concetto di Deterrence and Defence of the Euro-Atlantic Area (DDA). Come rilevato da diversi analisti occidentali, questa evoluzione ha segnato una transizione da una deterrenza concepita per crisi episodiche a un sistema di sicurezza più stabile e integrato.
Il DDA costituisce oggi il nucleo della strategia alleata. Formalizzato nel 2020 e reso operativo con i regional plans approvati nel 2024, integra deterrenza nucleare, difesa convenzionale, sicurezza cibernetica e resilienza civile in un’unica architettura coordinata. L’intento è assicurare una difesa collettiva credibile e capace di reagire minacce diversificate, mantenendo al contempo sotto controllo la soglia dell’escalation. Si tratta di un approccio adattivo e multilivello, in cui la presenza militare risulta visibile ma non provocatoria, costante ma sostenibile. Secondo i documenti Nato post-2022, la sfida principale consiste nel rendere la deterrenza ‘comprensiva’ – cioè capace di combinare strumenti militari, politici ed economici per garantire stabilità.
L’evoluzione della Enhanced Forward Presence rimane il fulcro operativo della deterrenza Nato lungo il fianco orientale. I battlegroup multinazionali dislocati nei paesi baltici e in Polonia operano come parte di un sistema integrato che collega il Baltico, la Scandinavia e il Mar Nero in un continuum strategico. Con i nuovi regional plans, approvati nel 2024 e pienamente operativi nel 2025, la deterrenza sembra andare oltre la semplice presenza territoriale, mirando a ridurre al minimo le vulnerabilità strategiche. Le unità di EFP e Tailored Forward Presence (TFP) sono integrate in catene di comando più rapide e interoperabili, mentre la logistica avanzata – sostenuta in particolare da Germania, Paesi Bassi e Italia – assicura un flusso continuo di rinforzi e materiali verso il fronte orientale.
Nel 2025, la deterrenza Nato assume una configurazione policentrica, fondata su catene di comando interconnesse e su un continuum strategico dal Grande Nord al Mar Nero, dove la capacità logistica dei principali partner europei risulta un elemento significativo di coesione. Particolare rilievo riveste l’adattamento del Northern Plan, che integra le capacità artiche e baltiche in una struttura comune di difesa. L’ingresso di Finlandia e Svezia ha contribuito a trasformare il Grande Nord in una piattaforma strategica chiave dove la cooperazione con Norvegia e Danimarca rafforza la dimensione marittima e aerea dell’Alleanza.Come mostrano i diversi rapporti strategici, il processo si configura non solo come un adattamento militare, ma anche politico, suggerendo come la Nato miri a gestire la sicurezza europea attraverso cooperazione integrata piuttosto che contrapposizione frontale.
In questo contesto di trasformazione, gli Stati Uniti rimangono il principale motore strategico. Washington conserva il ruolo di garante ultimo della soglia dell’escalation, calibrando la pressione militare e politica sull’avversario e assicurando la coerenza operativa dei battlegroup multinazionali e delle catene di comando integrate. Le capacità americane – intelligence avanzata, difesa antimissile, comando integrato, sorveglianza strategica, forze aeree e navali avanzate – restano fondamentali per rendere credibile la deterrenza alleata e sostenere l’adattamento Nato. Nel 2025, la strategia statunitense si presenta più calibrata: l’obiettivo è sostenere l’Ucraina e il fianco orientale evitando un confronto diretto con Mosca. Pur mantenendo un ruolo centrale, Washington promuove una maggiore responsabilizzazione europea, soprattutto nell’attuazione dei piani regionali e nella copertura delle aree secondarie come il Mar Nero e il Baltico meridionale. La leadership statunitense si esercita attraverso strumenti di coordinamento politico e operativo, più che con un incremento quantitativo di truppe sul terreno, favorendo l’integrazione delle risorse alleate e la continuità dei meccanismi di difesa collettiva. Questa redistribuzione del carico strategico non implica necessariamente una riduzione dell’impegno, ma si configura come una forma di burden sharing più politica che numerica: gli Stati Uniti continuano a rappresentare il principale pilastro della deterrenza alleata, promuovendo al tempo stesso una gestione europea più responsabile della sicurezza regionale.
Parallelamente, la Nato ha consolidato la propria capacità di deterrenza attraverso l’implementazione dei regional defence plans e l’esecuzione di esercitazioni su larga scala. Particolarmente significativa è risultata la Steadfast Dart 2025, conclusasi dopo due mesi di attività in Romania, Bulgaria e Grecia. L’operazione ha coinvolto circa 10.000 militari di nove nazioni alleate, con forze terrestri, aeree, navali e speciali impegnate in missioni complesse a lungo raggio. L’esercitazione ha permesso di testare lo schieramento del Posto Comando dell’Allied Reaction Force (ARF) in tempo di pace e di verificarne le procedure operative e l’interoperabilità tra i contributori alleati e le nazioni ospitanti. In particolare, si è trattato del primo dispiegamento su larga scala dell’ARF dalla sua istituzione nel 2024, dimostrando la capacità della Nato di rafforzare rapidamente la difesa dell’Europa orientale in risposta a scenari di crisi con avversari di pari livello.
Anche sul piano analitico, il Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha osservato come, nonostante i progressi ottenuti nella spesa per la difesa, nella prontezza e nell’integrazione dei nuovi membri nordici, l’Alleanza resti vincolata alla necessità di un rafforzamento qualitativo sul piano industriale e logistico. L’obiettivo non è solo testare la capacità di reazione, ma consolidare una routine di deterrenza: un sistema capace di rendere la stabilità prevedibile attraverso l’integrazione costante tra pianificazione, interoperabilità e comunicazione strategica. In quest’ottica, la sostenibilità costituisce un elemento centrale della deterrenza Nato: garantire nel tempo prontezza operativa, efficienza industriale e coesione politica senza logorare risorse o consenso. Maggiormente cruciale è la dimensione industriale: l’iniziativa RearmEU, avviata nel 2024, mira a rafforzare l’autonomia produttiva europea e a costruire una base industriale interoperabile e resiliente. L’intento non è espandere illimitatamente la forza, ma renderla riproducibile, assicurando la rigenerazione dei mezzi e delle scorte in tempi compatibili con la competizione strategica e con i cicli politici delle democrazie.
Come evidenziato in un recente rapporto della Rand Corporation, il conflitto russo-ucraino ha reso la deterrenza una condizione di lungo periodo e ha imposto agli alleati la gestione del logoramento operativo e politico. La credibilità strategica dipende sempre più dalla capacità di adattamento sistemico: integrare pianificazione, produzione e comunicazione politica per mantenere nel tempo la pressione, senza eccedere nella reazione. La fatica strategica – militare, politica e industriale – è divenuta un elemento strutturale della deterrenza occidentale: mantenere la credibilità non significa intensificare la pressione, ma calibrarla con continuità. La deterrenza sostenibile si configura come una strategia di equilibrio dinamico, conciliando potenza e durata, deterrenza e consenso, industria e politica – trasformando la stabilità in un processo da gestire piuttosto che in una condizione da raggiungere. Nel 2025, mentre la Nato struttura la propria deterrenza in chiave di stabilità controllata e sostenibile, Mosca continua ad adottare una logica speculare, cercando di sfruttare l’instabilità come leva di potere.
Mosca tra adattamento e contenimento
Secondo Edwin Bacon, la Russia non concepisce la guerra come evento eccezionale, ma come elemento strutturale della propria competizione con l’Occidente, dove resilienza e continuità del potere politico ed economico assumono funzione di legittimazione interna e di mantenimento dello status internazionale. In quest’ottica, l’adattamento militare russo si inserisce in una cornice più ampia, volta a integrare la capacità dello stato di assorbire shock politici ed economici con la solidità del proprio apparato militare-industriale. Le due componenti si sostengono reciprocamente e alimentano un ciclo continuo anche in condizioni di stress prolungato. Tale modello riflette un approccio alla sicurezza fondato sulla sopravvivenza e sulla gestione del logoramento più che sulla ricerca di una vittoria decisiva: un equilibrio di lungo periodo volto a riequilibrare i rapporti di forza con l’Occidente.
Diversi osservatori, tra cui Bettina Renz, sottolineano come il revival militare avviato dopo il 2008 abbia prodotto forze concepite per un conflitto multidimensionale e sostenibile, capaci di combinare fuoco a lungo raggio, mobilitazione parziale, strumenti ibridi e industrializzazione bellica orientata alla resilienza operativa. La costruzione di riserve strategiche e l’arruolamento massiccio di coscritti – rilanciato sistematicamente nel 2025 – contribuiscono a sostenere il consumo di forza senza interrompere il ciclo operativo. In questa chiave, la dottrina d’impiego russa riflette un approccio incrementale: pressione costante, calibrata per testare la coesione e la resilienza occidentale senza oltrepassare soglie che potrebbero provocare una risposta qualitativa significativa.
Questo adattamento interno si accompagna alla gestione dell’instabilità come strumento di pressione strategica. Incursioni con droni nello spazio aereo polacco e baltico – calibrate su rotte non letali – funzionano come test della coesione Nato e strumenti di erosione psicologica senza provocare escalation dirette. Allo stesso modo, i bombardamenti sul sistema elettrico ucraino, intensificati nel 2025, servono a mantenere il logoramento su un fronte prolungato. Operazioni di disinformazione e guerra cognitiva mirano a influenzare le percezioni pubbliche e a complicare la cooperazione di intelligence occidentale. A questo si sommano minacce nucleari ‘sotto soglia’, che costringono l’Alleanza a mantenere prudenza, consolidando indirettamente la strategia russa di attrito controllato.
Risulta emblematico, in tal senso, il coinvolgimento diretto di Vladimir Putin, nell’ottobre 2025, in un test delle forze nucleari strategiche condotto pochi giorni dopo il rinvio del vertice di Budapest con Donald Trump. L’operazione, ampiamente ripresa dai media russi e accompagnata da un’esercitazione su larga scala, non aveva scopi operativi immediati ma un valore strategico-simbolico: riaffermare la parità di rango senza oltrepassare la soglia dell’uso effettivo. Le radici di questa postura risalgono a periodi precedenti il 2022 e riflettono un conservatorismo strategico di lunga durata, in cui la resistenza geopolitica diventa una funzione costitutiva dello Stato. Luca Gori descrive come la capacità di sopportare pressione esterna sia considerata un elemento di legittimazione politica e continuità nazionale: resistere equivale a esistere. Tsygankov sottolinea come la percezione di un assedio permanente da parte dell’Occidente alimenti una strategia di sopravvivenza prolungata, in cui il rivale è prima culturale e identitario che militare. In questa prospettiva, anche la risposta alle sanzioni economiche non appare come un costo, ma come dimostrazione di autonomia. Richard Connolly mostra come il riorientamento produttivo verso la difesa e la crescente autosufficienza industriale confermino la capacità della Russia di sostenere un conflitto di lungo periodo senza dipendere dall’economia occidentale. Tale resilienza industriale diventa così una componente strutturale della deterrenza russa.
Su questo sfondo di continuità ideologica e funzionale, Mosca assume una chiara dimensione revisionista. Come suggerisce Richard Sakwa, il revisionismo russo non mira a rovesciare l’ordine internazionale, ma a impedire che la sua universalizzazione in termini occidentali comprometta gli interessi vitali di Mosca. La deterrenza russa – convenzionale, nucleare, cognitiva – si configura così come lo strumento principale per contenere l’avversario, proteggere spazi di autonomia e costruire legittimazione geopolitica attraverso la persistenza e il logoramento.
Questa visione trova espressione operativa nella cooperazione con Cina, Iran e Corea del Nord, che funge da moltiplicatore di resilienza tecnologica, industriale e diplomatica. Secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS), l’assenza di convergenze negoziali rende la guerra non un’anomalia da correggere, bensì una condizione da governare. In quest’ottica, la Russia non impiega il conflitto per cambiare l’ordine, ma per impedirne la chiusura in termini occidentali: non produce vittoria, ma rende più complicato il successo dell’avversario. Il logoramento tende così a tradursi in una foma di politica di potenza, e la deterrenza si trasforma in un linguaggio stabile, non episodico, del nuovo equilibrio europeo.
Il fragile equilibrio strategico
Il fragile equilibrio Nato-Russia nel 2025 non deriva da decisioni contingenti, ma riflette – come teorizzato da Kenneth Waltz – la struttura anarchica del sistema internazionale, in cui ogni stato resta garante ultimo della propria sicurezza. In assenza di un’autorità sovraordinata, gli attori agiscono sulla base di interessi vitali e la sopravvivenza costituisce l’obiettivo primario e non negoziabile. Da questa condizione scaturisce il classico dilemma della sicurezza, per cui ogni misura difensiva adottata da un polo è percepita dall’altro come minaccia potenziale, generando un ciclo di bilanciamento che non mira alla vittoria, ma alla riduzione della vulnerabilità reciproca. In linea con la logica dell’equilibrio di potenza descritta da John Mearsheimer, la Nato calibra la propria deterrenza per contenere i possibili vantaggi russi, mentre Mosca utilizza la pressione controllata per impedire che la superiorità strutturale dell’Alleanza si traduca in dominio stabile. L’equilibrio risultante deriva più dalla dinamica del sistema che dalle intenzioni politiche dei singoli: la sfiducia reciproca funziona come meccanismo di stabilizzazione, anche in assenza di accordi formali. In questo contesto, la deterrenza si impone come strumento prevedibile e relativamente sicuro: ogni parte rafforza la propria postura non per preparare l’attacco, ma per ridurre la percezione di vulnerabilità dell’altro. Ne discende una competizione permanente, in cui la Russia tende a considerare l’Ucraina e i negoziati non come strumenti di soluzione, ma come leve di sopravvivenza e di mantenimento del rango internazionale.
Questa grammatica della percezione informa tanto la postura dell’Alleanza quanto le condotte di Mosca. Il quadro DDA (Deterrance and Defence of the Euro-Atlantic Area) istituzionalizza la deterrenza, integrando dimensioni convenzionali, nucleari, cognitive e industriali. Esercitazioni come Eastern Sentry rafforzano la presenza sul fianco orientale nell’ambito dei regional plans, mentre Steadfast Noon 2025 conferma la credibilità del pilastro nucleare senza tradursi in pre-escalation operativa. Sul fronte opposto, le manovre Zapad 2025 con la Bielorussia segnalano la capacità russa di proiettare pressione controllata, e le incursioni di droni nello spazio aereo polacco e baltico testano la coesione occidentale senza generare casus belli. Come rileva un recente studio Rand, la deterrenza nei confronti della Russia dipende oggi tanto dalla capacità militare effettiva quanto dalla gestione dei segnali e delle percezioni, cioè dal modo in cui gli alleati comunicano determinazione, unità e prontezza. L’equilibrio strategico europeo poggia dunque su meccanismi di gestione del rischio e di prevenzione dell’escalation, più che su accordi di pace formali: il principale pericolo deriva non da un attacco deliberato, ma da errori di calcolo o incidenti in un contesto di logoramento prolungato. Per ridurre tale rischio, la Nato ha ridistribuito le proprie posture dal Mar Nero al Grande Nord: l’ingresso di Finlandia e Svezia ha trasformato il fianco settentrionale in un nuovo perno di prevenzione strategica, mentre l’evoluzione dal Baltico al Mar Nero ha creato un continuum deterrente che limita la possibilità di sorprese e scarti improvvisi di equilibrio.Sul piano operativo e industriale, la credibilità della deterrenza dipende non dalla potenza di picco, ma dalla capacità di sostenerla nel tempo.
Le dimensioni cognitive ed industriali completano il quadro. Secondo l’EUISS, la competizione informativa e la manipolazione percettiva costituiscono ormai parte integrante della deterrenza, in quanto influenzano la coesione interna e, di conseguenza, la credibilità esterna. Parallelamente, Bruxelles tenta di superare la frammentazione produttiva attraverso una defence surge coordinata, volta ad aumentare interoperabilità e capacità di produzione. La drone wall annunciata dai paesi Ue lungo il confine orientale rappresenta un esempio di deterrenza preventiva a basso costo e alta continuità, mentre l’iniziativa RearmEU punta a trasformare la produzione europea in un moltiplicatore di durata più che di intensità, riducendo la dipendenza strategica dagli Stati Uniti. In tal senso, la deterrenza si manifesta non solo nella minaccia di punizione, ma nella capacità di resistere indefinitamente.
Conclusioni
Nel 2025 il conflitto in Ucraina non appare più come una crisi episodica, ma come la cornice entro cui Nato e Russia regolano la propria competizione strategica. La deterrenza è divenuta il linguaggio ordinario del confronto: attraverso di essa, le parti misurano potenza, resilienza e legittimità senza perseguire un esito definitivo. L’Alleanza ha consolidato una postura di lungo periodo – dai piani regionali integrati al riarmo industriale europeo – volta a neutralizzare qualsiasi shock che possa tradursi in un vantaggio strategico russo. Mosca, a sua volta, ha sistematizzato una strategia di logoramento basata sull’espansione industriale, sulla disponibilità di riserve mobilitabili e sull’uso combinato di pressione energetica e instabilità periferiche. Più che rifondare l’ordine europeo, la Russia sembra mirare a impedirne la stabilizzazione in senso occidentale. La stabilità che ne deriva non poggia su un accordo, ma su un equilibrio di deterrenza reciproca: una paralisi razionale che disincentiva qualsiasi tentativo di alterare l’attuale status quo. Il baricentro del confronto si è progressivamente spostato dal piano militare a quello sistemico, dove conta meno la linea del fronte e più la capacità di sostenere, nel tempo, il costo politico, economico e industriale della guerra prolungata.
In questo quadro, la principale minaccia non deriva tanto da un’escalation deliberata, quanto dalla moltiplicazione di frizioni sottosoglia – cyber, infrastrutturali, energetiche e informative – che mantengono la competizione attiva senza oltrepassarne i limiti. Una soluzione negoziata rimane remota: la distribuzione asimmetrica dei benefici renderebbe razionalmente inaccettabile, per almeno uno dei due attori, la cessazione del conflitto. La guerra in Ucraina assume così il valore di paradigma del nuovo ordine strategico europeo: un equilibrio in cui pace e tensione coesistono all’interno di un regime di gestione permanente. L’Europa entra in una fase di convivenza strutturale tra stabilità e rischio, in cui la sicurezza non coincide con la fine del conflitto, ma con la capacità di governarne la continuità. Si tratta di un equilibrio fragile ma funzionale, destinato a persistere finché nessun attore disporrà di strumenti, incentivi o consenso per sostituire la deterrenza con una decisione politica o militare definitiva.
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