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Moratti e l’Inter, ritratto di famiglia (indonesiana…)

La squadra di calcio in mano a un magnate indonesiano, la compagnia petrolifera insidiata dal Cremlino, i fratelli Gian Marco e Massimo che chiudono la cassaforte e si separano: a ciascuno il suo.

Tutto è sossopra in casa Moratti. La famiglia più influente e trasversale della borghesia milanese nel secondo dopoguerra, è in difficoltà e anche lei sembra avviata lungo una parabola che rimanda a tante altre storie eccellenti del capitalismo italiano.

FINE DI UN’ERA?
Milano non è Torino, monarchica in ogni sua fibra; i Moratti non sono gli Agnelli e l’élite lombarda è sempre stata policentrica, meritocratica, multinazionale persino. Eppure, volendo cercare una dinastia degli affari che aspiri a possedere tutti i crismi dinastici, dopo la scomparsa dei Pirelli, il tramonto dei Falck e la metamorfosi dei Feltrinelli, non restano che loro, i Moratti. Hanno resistito al ciclone Berlusconi, sono tra gli uomini più ricchi d’Italia, adesso però sembrano canne al vento piegate dai nuovi potenti che arrivano dall’altra parte del mondo.

TEMPI DIFFICILI
Il calcio, ancora una volta, si rivela una fornace che brucia passione e denaro. Gian Marco, dice chi lo conosce bene, le ha tentate tutte con il fratello. Glielo ha chiesto con le buone, gli ha piazzato i suoi uomini di fiducia, ha mostrato i conti in sofferenza della Angelo Moratti sapa, l’accomandita di famiglia che da quattro anni non paga dividendi, e le perdite della Saras: un tempo fonte di lauti profitti, oggi soffre la crisi strutturale delle raffinerie insidiate dai colossi che integrano anche la distribuzione, tanto che nel 2012 i fratelli hanno dovuto cedere il 21 per cento a Rosneft, colosso energetico controllato dal governo russo, per 178 milioni di euro.

SPERANZA INDONESIANA
Per l’Inter è spuntato l’indonesiano Thohir, anche se hanno puntato i piedi Angelomario Moratti, detto Mao, uno dei tre figli di Massimo coinvolti nell’amministrazione nerazzurra insieme ai fratelli Giovanni (Gigio) e Carlotta contro un solo figlio di Gian Marco (Angelo Gino).

L’analisi completa di Stefano Cingolani si può leggere qui sul suo blog


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