L’espressione, non recente, un tempo era tipica del lessico diplomatico e indicava intese fra Stati, usciti vincitori in determinati conflitti e decisi a stabilizzare gli esiti, gli accordi raggiunti e gli interessi economici e territoriali derivatine. La Grande Alleanza denominò la coalizione europea antifrancese costituita con la Lega di Augusta (1686-’97), ricostruita nel 1701 da Prussia, Inghilterra, Austria e Province Unite in funzione antifrancese e antispagnola: provocò lo scoppio della guerra di successione spagnola (1701-’14).
In anni recenti, si sono chiamate grandi coalizioni le intese politiche stabilite all’interno di nazioni dopo esiti elettorali conclusisi senza un vincitore assoluto e con due forze principali di pressoché uguale equivalenza numerica obbligante ad un accordo, anche di legislatura, fra i principali partiti in contrapposizione. In piena guerra fredda fra Est ed Ovest si creò in Germania (1969) una grande coalizione che portò al potere i socialdemocratici (anticomunisti) in unione coi democristiani; tale formula è stata più volte replicata negli anni successivi, sino ai giorni nostri, senza pregiudicare la possibilità della Cdu (democristiani) o della Spd (socialdemocratici) di conquistare la maggioranza del Bundestag alla tornata elettorale successiva.
In Italia abbiamo avuto varie forme di grande coalizione. La prima nacque nel giugno 1946 fra Dc, Pci e Psiup, detentori di circa l’80 per cento dei seggi in assemblea costituente, una intesa obbligata dai numeri e condizionata dalla cosiddetta politica del «doppio binario» (solidarietà nel consiglio dei ministri, opposizione violenta nelle piazze delle sinistre) che sfociò inevitabilmente nella rottura del «tripartito» nel maggio 1947. La seconda venne determinata dal voto del 20 giungo 1976, quando Dc e Pci messi assieme ottennero più dell’80 per cento dei seggi parlamentari, anche se lo scudocrociato restò primo partito.
La grande coalizione, inventata da Aldo Moro e condivisa dal Pci (ma Togliatti era morto da oltre un decennio, come del resto De Gasperi), non si realizzò in una condivisione di governo; anzi, fu per qualche tempo sorretta da una maggioranza inferiore al 50 per cento dei voti e condizionata soprattutto dalle astensioni di più della metà del parlamento. Quando la Dc (contestata dai settori di centro-destra del partito e dell’elettorato) cercò di corresponsabilizzare il Pci e di ottenerne un voto positivo per il suo governo monocolore, insorse la grande maggioranza dei comunisti (contraria ad una collaborazione più stretta con lo scudocrociato) e di larghi settori di elettorato di sinistra, nel quale era cresciuto un movimento armato dominato dalle Brigate Rosse che rapirono e assassinarono Aldo Moro.
Da tempo si riparla in Italia di grande coalizione, e di solito si fa riferimento al modello germanico. In questa fase di sgretolamento dei partiti e di distruzione delle diversità politiche fra una pletora di movimenti che crescono di numero in maniera correlata all’incremento progressivo delle astensioni (ormai a ridosso della metà degli elettori), si parla di grande coalizione, riferibile a quella «strana» maggioranza in atto attorno al governo tecnico Monti, che qualcuno vorrebbe reiterare dopo le prossime elezioni: chi per timore di essere fortemente ridimensionato come forza elettorale e peso politico; chi immaginando di ricavarne utilità personali prestigiose quanto maldestramente concupite.
Attorno al miraggio di una grande coalizione alla tedesca, sta la realtà di una politica italiana quanto mai divisa sino alla rissa quotidiana e alla fossilizzazione dei gruppi dirigenti dei partiti, tutti ridottisi a caste poco credibili e molto arruffone. E ciò concorre a rendere poco credibili sia quanti sembrano spendersi per una prossima, inevitabile grande coalizione, sia quanti ne prendono le distanze non sapendo più come mantenere un contatto certo con settori elettorali in continua mobilità.