Skip to main content

Usa, perché domani non sarà il giorno del default

È una battaglia politica, più che economica, quella che si combatte negli Stati Uniti. Ieri sera è stato rinviato ancora una volta l’incontro tra i repubblicani, che sono spaccati in due: il gruppo dei moderati che vuole un accordo con il governo, e i radicali del Tea Party, che preferiscono il fallimento piuttosto che la resa.

Il Paese è parzialmente fermo da 16 giorni per colpa dello shutdown, l’interruzione di alcuni servizi finanziati dallo Stato federale. Lo shutdown è scattato dopo che i repubblicani si sono rifiutati di alzare il tetto del debito americano e Barack Obama ha rinunciato a mettere in discussione il nuovo programma sanitario Patient Protection and Affordable Care Act, conosciuto come Obamacare.

Pochi soldi in cassa
Ma mentre nessuna delle forze politiche è disposta a cedere, si avvicina la data definita come l’ultimo giorno in cui l’America sarà tecnicamente nelle condizioni di pagare i suoi debiti: il 17 ottobre. Se non si arriverà ad un accordo per l’aumento del tetto del debito di 16mila e 700 miliardi, gli Stati Uniti rischieranno il default tecnico. In cassa restano poco meno di 30mila milioni di dollari a cui sommare 6mila milioni di tasse. Troppo poco per andare avanti per il bilancio americano.

Per la prima volta, ieri la Casa Bianca non si è detta ottimista. In un intervento diffuso a sera, il portavoce di Obama ha detto che “si sta tentando un’altra via, ma l’accordo è lontano”. Durante la giornata di ieri la borsa non ha resistito alle tensioni come gli altri giorni. Wall Street ha chiuso in negativo.

Non è un vero default?
Dichiarare gli Stati Uniti in default non è comunque formalmente corretto. Secondo il leader del Tea Party, Rand Paul, parlare di fallimento è da irresponsabili. Nelle interviste trasmesse dai talk show della domenica, Paul ha spiegato che “gli americani versano ogni mese al governo 250 miliardi di dollari” e “gli interessi” che gli Usa pagano sul debito “sono di 20 miliardi di dollari”. Questo, secondo il leader del Tea Party, significa che il gettito fiscale sarebbe sufficiente per pagare gli impegni senza dover aumentare il debito federale, già abbastanza grande.

“Usiamo le entrate fiscali per pagare gli interessi sul debito agli investitori stranieri, a cominciare da Cina e Giappone, dilazionando i pagamenti per Previdenza e Sanità. Grazie a un’Amministrazione più accorta, in breve tempo risaneremmo le finanze federali”, ha aggiunto.

L’allarme però permetterebbe a Obama di scegliere altre alternative per evitare la crisi finanziaria internazionale. Difficile per il presidente americano trovare una soluzione nel rispetto della Costituzione. Secondo la Bbc, il presidente deve scegliere una soluzione che il Congresso non approverebbe: sospendere i pagamenti (che è la posizione di Obama ora) e raccogliere i soldi delle tasse (cosa che può fare solo il Congresso). In ogni caso il problema sarebbe solo rimandato al 2014.

La preoccupazione della Cina
La situazione di caos negli Stati Uniti non preoccupa soltanto agli americani. Come ha dimostrato la crisi del 2007-2008 con il triste capitolo di Lehman Brothers, le conseguenze di un default nel mercato statunitense si faranno sentire nel resto del mondo.

In questo quadro la Cina è particolarmente preoccupata. Il colosso asiatico ha circa l’8% dei titoli americani e se gli Usa non fossero in grado di pagare i debiti, gli effetti sul mercato cinese sarebbero immediati. Una situazione che l’economia cinese, colpita dalla riduzione delle esportazioni nell’ultimo anno, non si può permettere.

Le preoccupazioni della Cina sono state messe nero su bianco in un editoriale del vice ministro degli Esteri cinese, Zhu Guangyao: “Forse è un buon momento di cominciare a considerare la costruzione di un mondo de-americanizzato”. L’articolo è stato pubblicato dall’agenzia Xinhua.

Come ha fatto Clinton
Nel 2011 Bill Clinton ha affrontato una crisi molto simile. L’ex presidente americano ha detto che la normativa che stabilisce il tetto è incostituzionale, perché va contro il 14° emendamento. La legge dice che “la validità del debito pubblico, autorizzato dalla legge, non deve essere messa in discussione”.

L’amministrazione di Obama potrebbe saltare la normativa e semplicemente imporre un aumento del debito pubblico. La questione potrebbe poi risolversi in Tribunale, ma non penalizzare il sistema economico americano.



×

Iscriviti alla newsletter