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Tagliare il debito ma non la sovranità

Finalmente i partiti e il Governo hanno deciso di fare quello che doveva essere fatto subito e che questo giornale aveva immediatamente segnalato (Il Manifesto del Sole 24 Ore, “Nove impegni per la crescita”, 16 luglio 2011): la cessione di parte del patrimonio pubblico per rimborsare parte dell´indebitamento statale. C´è da sperare che lo facciano bene, ma le prime battute non sono promettenti.
 
La politica ha percepito con ritardo che la crisi della finanza pubblica aveva una doppia faccia: il deficit di bilancio pubblico e l´eccesso di indebitamento dello Stato. Si è voluto affrontare il primo aumentando la pressione fiscale e affidando alla formazione di avanzi di bilancio la cura del secondo, affermando erroneamente che questa è ciò che ci richiede l´Europa; questa seconda scelta è tutta nostra, perché potevamo agire iniziando a cedere il patrimonio pubblico. Ciò ha aggravato la crisi deflazionistica già in atto e ha aggiunto due nuovi problemi: la sfiducia del mercato sul futuro dell´economia italiana e sulla possibilità che la politica intrapresa sia portata avanti dopo le elezioni. Lo spread BTpBund prima è disceso e poi è risalito, senza che si sia voluto prendere nota per tempo della realtà da affrontare.
 
In politica economica gli obiettivi si distinguono in intermedi e finali. La cessione del patrimonio pubblico per abbattere il debito appartiene alla prima categoria, ma lo scopo ultimo è così sintetizzabile: risparmiare sulla spesa per interessi già iscritta in bilancio, impedire che lo spread elevato si incorpori nel nuovo indebitamento restando fuori dal mercato delle nuove emissioni per un lungo periodo, anche per dare tempo al Governo di riorganizzare le fila del discorso della crescita e coglierne i primi frutti. Per fare ciò è necessario che l´operazione sia massiccia (almeno 400 miliardi) e non diluita nel tempo, sia affidata a mani private assistite da importanti finanziarie internazionali (JPMorgan, Goldman Sachs, Mediobanca) sia data in gestione a persone competenti e stimate dalla pubblica opinione (come sarebbe Enrico Bondi, invece di impegnarlo su obiettivi pur importanti, ma risibili nell´attuale crisi) e offrano vantaggi di una loro valorizzazione da incorporare in warrant.
 
Queste caratteristiche sono presenti solo nella proposta da me avanzata con Antonio Rinaldi e altri bravi colleghi, che integra quella sulla quale Giuseppe Guarino si è lungamente impegnato. Ciò porterebbe a un risparmio immediato di circa 20 miliardi di oneri finanziari dello Stato e avvierebbe immediatamente un circolo virtuoso nella finanza pubblica, che altre non hanno. Condivido però con Guarino la valutazione che il tempo per attuare questa proposta è ormai trascorso, ma ho voluto reiterarla perché la deriva della politica è lunga, le elezioni alle porte e, comunque, l´attuazione fungerebbe da deterrente per l´ultima delle possibili eresie prima del tracollo economico e sociale: la patrimoniale.
 
Oggi ci viene prospettato che non vi sia soluzione diversa dalla cessione di sovranità fiscale per ottenere assistenza dall´Unione Europea, mentre è possibile ancora condurre un´operazione di consolidamento vantaggioso del debito pubblico, come quello proposto su queste stesse colonne con Michele Fratianni. In contropartita dell´allungamento della scadenza dei titoli in essere almeno oltre una legislatura un tasso dell´interesse pari all´inflazione, più una piccola percentuale della crescita, ossia garantire il rimborso del potere di acquisto attuale. I titoli sarebbero ovviamente negoziabili sul mercato e non vi sarebbe un blocco dei risparmi. Deve essere chiaro che chi preferirà la prima soluzione verrà giudicato dalla storia per aver accettato la colonizzazione del Paese pur potendola evitare.
 
Il Sole24Ore


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