C’è l’alba che è l’inizio del tramonto. E della pipì, quella dispettosa di uno scravacchio, vendicativo per essere stato schiacciato, che affligge l’orecchio medio di un piccolo sognatore. Quello che oggi vede incanutire i propri capelli e che è lì con gli occhi alla sua stella polare. A Lei, la donna amata, che bagna i morti fin dentro i loro profondi sepolcri. Un bagno di zuppa malinconia, un gocciare di ricordi che benedice il passato. E’ il cunto dei cunti, questo. Cunto di tanti deja vù. La via orfica con cui Buttafuoco cerca di rivivere eventi di allora con l’anagrafica di ora. Vuoi per quell’istinto dell’uomo di riunirsi ai cari che non ci sono più. Vuoi per dare soddisfazione alla ragione di “ora” che si compiace di quei convincimenti di cui si era fatta persuasa “allora”.
Perché, nello scorrere delle sequenze del “fu”, come un sogno, che è il piano inclinato tra l’ora e l’allora, si è protagonisti e al tempo stesso si conosce quello che sta per accadere.
Con “Il dolore pazzo dell’amore” Buttafuoco cerca di conservare nel tempo il senso complessivo della propria vita e di questo bilancio ne fa letteratura. Unendo la cronaca e la biografia alla filosofia. Solo chi è filosofo può essere scrittore.
Il cunto dei cunti è, però, soprattutto, un regalo. Perché Buttafuoco offre ai suoi lettori, specie a quelli più affezionati, un davanzale dal quale sbirciare, anche, nella sua storia personale. Il bassorilievo che viene fuori dal pieno della storia, quella nella quale ognuno è accidentale comparsa. Non deve essere stato agevole abbassare le palpebre e aprire gli occhi verso il proprio intimo e raccontarlo, facendolo diventare pagina pubblica. Il bassorilievo che nella pittura ha il suo equivalente nell’arte incisoria. Che è lavoro della mente perché gioco di luce. Quindi sacro. Buttafuoco è uomo, guarda in alto. E in altrettanti capitoli offre tante tavolette che hanno, inciso, un pezzo del suo cammino. Di lui, oggi cinquantino che guarda, dietro e davanti, in basso e in alto. Alla strada percorsa, a quel precipitato di vita che, appunto, nelle tavolette incise nella memoria hanno trovato posto. Che, nel loro sovrapporsi, danno l’impasto cromatico risultante sotto cui, sotto la luce di chi guarda, immanente o trascendente, si è giudicati. Il fatto è che, mentre nella testa fermiamo un’immagine ieri, oggi ricordo, incidiamo le carni per pungere l’anima e il cammino materiale che va appresso al calendario diventa metafisico. Un ciclico alternarsi di dubbi e certezze. La ricerca del sacro. Il calendario non basta a raccontare una vita. Le istantanee che si susseguono non contano indipendentemente da come si susseguono e da chi le guarda. Conta l’interlocutore e conta la sequenza. Proprio come la materia quand’è sottoposta a fatica, a sollecitazioni che si ripetono nel tempo. E bestemmiando quindi, volendo applicare l’ingegneria all’arte, diciamo che vale la legge di Miner.
Bisogna credere ai Re, alle regine, alle ninfe, alla cronaca con l’accento sulla seconda “a”. Ai malatini, in particolare a Giufà. Bisogna credere ai diavoli, ai barbieri e alle preghiere. Ai vescovi, ma non sempre. E bisogna credere alla sabbia, ai morti e soprattutto alla menzogna e alla galera. Così ci cunta Buttafuoco, descrivendo, per ogni credenza, la sua personalissima istantanea corrispondente.
E seguendo la sequenza scopriamo come la vita ha fatto semenza in questo cinquantino che, elencandoci come in lui hanno sedimentato credenze, convinzioni e fissazioni, ci porta nel laboratorio di sviluppo fotografico dove la letteratura ha fatto di tali istantanee un cunto. Il cunto dei cunti. Alla maniera dei maestri incisori.
Dove la poesia, la cronaca, la novella, il saggio, le forme letterarie tutte si incontrano realizzando la frase di William James che è stampigliata nella hall della lussuosissima ed efficientissima Singapore National Library: The great use of life is to spend it for something that will outlast it (“Il miglior uso della vita è impiegarla in qualcosa che durerà più a lungo di essa”).
E così anche tu lettore, uscito dal libro, se scosti la pietra che ti trovi davanti, puoi assistere al miracolo della letteratura. Allo scravacchio, quello schiacciato, che riprende le forze dopo tanto letargo e ricomincia a camminare sfuggendo il tuo sguardo. Indicandoti la via che la ragione non può spiegare.
A brevissimo in libreria – Edizioni Bompiani.