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Monti? Dietro la sobrietà, il nulla

Il caso del professor Mario Monti, bocconiano autorevolissimo assunto rapidamente a capo del governo senza vaglio popolare e inserito a vita nel Senato neppure fosse un Nobel della scienza economica o della letteratura politica mondiale, non può essere declassato e beghe interne a Scelta civica, un movimento nato sulla presunzione di conquistare l’egemonia della XVII legislatura.

Monti era convinto che, come «podestà straniero», esterno alla politica dei partiti, potesse essere riconosciuto come un superpartes che imbrigliasse gli antagonismi contrapposti tradizionali, obbligandoli a consegnare a lui le armi del potere.

Si era eletto a ottimato indiscusso e indiscutibile. Si proponeva come il centro di tutte le delusioni della Seconda e anche della Prima Repubblica, neppure fosse il tanto cercato a mai trovato De Gaulle italiano, quand’invece l’originale aveva alle spalle ben altra storia di combattente, liberatore dai nazisti, instauratore di una repubblica presidenziale amata tanto a destra che a sinistra dopo la tragedia e l’inginocchiamento di Petain e di Vichy a Hitler.

No, Monti non è caduto per lungimiranza non compresa dai suoi interlocutori della venticinquesima ora, raccogliticci e disomogenei. S’è sgonfiato perché, piuttosto che un sobrio ragionatore politico, era un supponente amico dei grandi amici che pretendeva d’imporre una ferrea disciplina come un qualsiasi capitano di ventura, non come un vero leader che disponga di una autentica strategia innovativa e diventi carismatico per idee nuove, non per essere nato diverso in politica. Se pensiamo che, da due anni e mezzo,

Monti è stato un deragliatore della politica malandata e, invece di aggredirla con terapie d’urto e assennate, ci ha regalato un ulteriore confusionarismo economico, un mercantilismo senza fine, dobbiamo riconoscere che, dietro la signorile sobrietà, non c’era niente: il vuoto politico assoluto.



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