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Il lamento del prof. Stiglitz

Visto che i problemi devono essere risolti dalla radice, è imperativo pensare qual è la causa principale della crisi economica mondiale. Il premio Nobel di Economia Joseph Stiglitz si è fatto questa domanda e le risposte, alcune approssimative ma altre molto concrete, si trovano nel suo recente libro “The Price of inequality: How today’s divided society endangers our future” (Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi mette in pericolo il nostro futuro).
 
La tesi principale dell’economista è che il crescere della diseguaglianza si manifesta non solo nel disagio sociale ma soprattutto nel crollo economico e finanziario. E punta il dito sugli Stati Uniti come principale responsabile.
 
Uscito prima dell’estate in America, il libro è da pochi giorni negli scaffali francesi, spagnoli, inglesi e latinoamericani. In Italia bisognerà accontentarsi con “Globalizzazione”, l’ultimo suo libro, uscito con Donzelli nel 2010.
 
Per spiegare le sue teorie Stiglitz utilizza molti esempi americani. Una scelta giusta perchè è la realtà che conosce meglio e negli Stati Uniti è tempo di campagna elettorale per la corsa presidenziale.
 
Già chief economist della Banca Mondiale, Stiglitz non colpevolizza puntualmente l’amministrazione del presidente Barack Obama ma non la solleva nemmeno da colpe. Sostiene che da vent’anni il potere di acquisto della classe media ha diminuito, generando il “problema dell’uno per cento”: il 93 per cento dei redditi supplementari creati nel 2010 sono stati monopolizzati dall’uno per cento della popolazione di classe alta. Così, negli ultimi trent’anni gli Stati Uniti sono diventati un paese diviso tra i ricchi, che hanno visto aumentare le loro risorse in un 150%, e il resto dei cittadini che regredisce, con un aumento dello stipendio soltanto del 15%. Una realtà che ha fatto svanire il mito del sogno americano.
 
Democrazie a rischio
 
Stiglitz crede che la potenza nordamericana è stata centrale nella creazione di un modello fallimentare, che ha compromesso il buon stato della democrazia. E anche se non sono i leader di una volta, poteva dare un contributo per sistemare la contingenza. Nella sua analisi avverte che negli Stati Uniti è in pericolo il sistema democratico perché dietro alla politica quello che in realtà sposta le forze è il potere economico. Non c’è più la formula “una persona=un voto” ma “un dollaro=un voto”. Oltre alle regole dettate dalle multinazionali, di proprietà di quel famoso “uno per cento della popolazione”, e le manipolazioni finanziarie.
 
Fallimento dei mercati, sconfitta dei sistemi politici che non hanno saputo regolare quei mercati, la condanna degli investimenti pubblici che invece, secondo Stiglitz, sono la salvezza perché solo loro “stimolano la domanda e la produttività a breve termine”; queste sono alcuni degli errori che hanno sprofondato il sistema capitalista nel mondo, secondo l’economista. Con il conseguente malessere sociale e la degenerazione delle democrazie.
 
Stiglitz invita a riempire di sostanza e idee le politiche monetarie che fino adesso sono rimaste vuote e hanno solo cercato (senza successo) di tamponare l’emergenza, ovviando le cause. Il premio Nobel propone una serie di alternative come via di uscita a questa problematica e avverte: il drammatico quadro rappresentato nello scenario statunitense colpisce anche le economie europee. Le stesse ricette producono gli stessi mali.


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