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Così il magistrato Ingroia ha scatenato la guerra tra toghe

Sembrava un blocco compatto e appuntito pronto a rispedire al mittente ogni accusa da parte del politico di turno. Oggi invece l’immagine della magistratura a occhi esterni è totalmente cambiata e il monolite sembra sgretolarsi in schegge che vanno in direzione diverse, mai così distanti.
 
In questi mesi, l’inchiesta sul delicato tema della trattativa Stato-mafia ha suscitato una sequela di dichiarazioni, repliche, puntualizzazioni, lezioni e contro lezioni che hanno riempito le pagine dei giornali e i dibattiti televisi. Prima Luciano Violante contro Antonio Ingroia, poi Ingroia contro tutti, ancora l’Associazione nazionale magistrati (Anm) contro Ingroia e poi il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, contro l’Anm. A seguire, un botta e risposta tra lo stesso Caselli e Magistratura democratica. Infine, e siamo alla cronaca più recente, la Procura di Lecce che accusa il procuratore di Bari, Antonio Laudati, per favoreggiamento e abuso d’ufficio perché avrebbe cercato di bloccare le indagini su Gianpaolo Tarantini in modo da salvaguardare l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
 
Una volta ripreso fiato dopo questa raffica di nomi e annesse polemiche, logico domandarsi: Che sta succedendo tra le toghe?
“Benvenuta dialettica”, esclama l’avvocato Giovanni Pellegrino a Formiche.net. Secondo il giurista ed ex senatore dei Ds, “la contrapposizione di idee a cui si assiste in questo momento in seno alla magistratura è proficua. È inevitabile che nel ventennio berlusconiano, periodo in cui il diritto era diventato quasi singolare e venivano continuamente messe a punto leggi ad personam, il terzo potere si presentasse come un blocco unito per difendere la sua funzione di controllo tanto più severo quanto più alto era il potere. Ora che questa situazione è venuta meno, le istanze riformatrici prima autocensurate possono prendere liberamente piede e questo è un bene per la democrazia”.
 
L’accusa di politicizzazione di una certa parte della magistratura per Pellegrino muove da una lettura superficiale perché “innanzitutto non riguarda tutta la categoria ma solo il ruolo degli inquirenti. E se c’è stata un’accentuazione di potere, è puerile pensare che sia a vantaggio di una parte politica. Fa parte della fisiologica competizione dei poteri essere in competizione l’uno con l’altro. Davanti a una politica incapace di rispondere a determinate esigenze dei cittadini e del Paese, c’è stato un ruolo di supplenza da parte della magistratura”.
 
Da giurista democratico, fa notare poi Pellegrino, quando la magistratura tende a prevalere sugli altri poteri, occorre da un lato stimolare la politica a recuperare il suo ruolo di risposta ai cittadini, dall’altro limitare il potere dei magistrati con dei contrappesi. Per esempio, prevedendo una maggiore distinzione dei ruoli e una separazione delle carriere tra pubblici ministeri ed organi giudicanti. Il pm appare oggi azzoppato all’interno dei processi che molto spesso finiscono in prescrizione per questo tende a dare più attenzione alla fase preliminare con il rischio di scatenare i processi mediatici che tutti conosciamo”, conclude Pellegrino.


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