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Così andrà la trattativa Fiat-Volkswagen sull’Alfa

Proviamo ad immaginare lo scenario più politicamente scorretto (ma non impossibile) del caso Fiat. Sull’onda delle critiche, insulti e possibili minacce, facilmente prevedibili, i vertici del Lingotto si piegheranno alla trattativa con Volkswagen per la cessione dell’Alfa.
 
Anzi, come sospettano i più maligni (ma a pensar male, in questo caso, si è sicuri di non far peccato…), l’indignazione generale contro la Fiat che “tanto ha ricevuto da questo Paese” (litania buona per i tempi di Cesare Romiti, uno dei più indignati, assai più che per quelli di Sergio Marchionne), altro non sarà che l’occasione buona, ovvero il pretesto per compiere un passo che in Fiat avrebbero fatto volentieri da tempo. Ma lasciamo da parte quest’illazione, visto che ci accingiamo a farne ben altre.
 
Spostiamoci, tanto per cominciare, sulle rive del lago di Costanza, in tedesco Bodensee, conosciuto anche come Schwäbisches Meer, creato dal Reno su quello che è il confine tra Germania, Svizzera ed Austria. Marchionne ha insistito perché l’approccio tra i boss di Wolfsburg e lui (solo o accompagnato dal fido Alfredo Altavilla) si tenesse qui, in terreno neutro, al riparo da occhi ed orecchie indiscrete. Perché è qui, a due passi dalle sorgenti del Reno, che Marchionne avviò nel 2004 il negoziato con Gm sulla put da cui dipendeva la sopravvivenza della Fiat. Oggi la partita è meno drammatica ma altrettanto importante. E l’atmosfera, dopo le polemiche a distanza culminate nella minaccia tedesca di disertare l’associazione dei costruttori europei finché sarà guidata dall’ad di Fiat, non sarà certo idilliaca.
 
“Caro herr Winterkorn – esordirà Marchionne – quelli di Lazard mi hanno annunciato che lei ha qualcosa da dirmi”. “Herr Marchionne – reagirà l’amabile capo azienda del colosso Volkswagen – io nutro una passione per l’Italia, come lei ben sa. E mi chiedo se, di fronte ad una crisi che ha cambiato tutto, non sia cambiata anche la vostra idea sull’Alfa”.
 
“Siete voi che dovete spigarmi la novità – ribatterà Marchionne – In passato mi avete detto che eravate interessati al marchio, tra l’altro per una cifra indecente. Ma vi siete rifiutati di impegnarvi a produrre in Italia, rilevando uno dei nostri impianti”. “Come ha già detto Walter (cioè De Silva, ex Alfa, il genio italiano del design che cura tutti i modelli del colosso tedesco) – replica Martin Winterkorn – non abbiamo preclusioni a produrre in Paesi avanzati, come già facciamo in Belgio. Lei conosce la nuova fabbrica di Chattanooga, immagino…”.
 
“Stiamo parlando di Cassino, Termoli e Melfi, mica di un impianto creato da zero in Usa – replica ecco Marchionne – Ma chissà, forse a voi la Cgil farà ponti d’oro. Per non parlare del Corriere della Sera… Ma parliamo di quattrini”. “Dipenderà da quel che mi vuol vendere, caro Marchionne. Ho il sospetto che lei, andandosene via, si porterà dietro i progetti che intende realizzar in Usa, Messico e Giappone”. “Niente di più di quel che avete fatto voi quando avete comprato Seat da Cesare Romiti – ribatte Marchionne – Per una vita avete venduto in dumping modelli fotocopia della Panda, ma lasciamo perdere i soldi, per ora. C’è un modo per metterci d’accordo”. “Cioè?” replica sospettoso herr Winterkorn. “ Voi avete in pancia il 19% dei nostri amici di Suzuki con cui siete in causa – spiega Marchionne – E’ sicuro che mister Suzuki non vi aprirà più le porte del mercato indiano. Al contrario, i rapporti tra noi ed i giapponesi sono ottimi. Dateci quel 19%, poi discuteremo del resto”.
 
Andrà così? Per carità, è solo fantafinanza. Ma c’è del metodo in quella follia. L’asse Fiat-Suzuki, in Europa, è in grado di soddisfare la domanda anche facendo a meno di almeno due fabbriche italiane di Fiat. Inoltre, Suzuki è leader in India e forte nel Far East. Fiat, al contrario, è leader in Brasile dove Suzuki è in pratica assente. Insomma, è il terzo partner dell’asse Torino Detroit. Certo, il prezzo per il salto di qualità è un forte ridimensionamento della presenza in Italia. In pratica, al Lingotto resterebbe Mirafiori più che dimezzata (via i colletti bianchi, verso l’estinzione le catene di montaggio), un paio di poli produttivi da rilanciare in tempi migliori. Ma anche la parte più redditizia dell’impero: Ferrari, Maserati e il modello Alfa Maserati presto in produzione nello stabilimento ex Bertone, ovvero le uniche fonti di profitto nel Bel Paese. E poco importa se Diego Della Valle, per ripicca, smetterà di comprare Ferrari. In Italia, come ben sa mister Tod’s, il lusso lo si produce. Ma non se lo può permettere quasi nessuno.
 
NB. Quanto sopra è opera di fantasia. Ogni riferimento a persone od avvenimenti reali è puramente casuale. Per ora.


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