La Provvidenza ha voluto che il cambio di guida della Chiesa sia conciso col piccolo cabotaggio che ha contrassegnato l’inizio della XVII legislatura italiana. Sostanzialmente si tratta di due eventi diversi che evolvono su parallele non convergenti. E, tuttavia, specie dal giorno in cui la sezione penale della Cassazione ha condannato Berlusconi ad una marginalizzazione che potrà anche non avvenire, in ogni media e confortatorio politico si discorre di un imminente rimescolamento di posizioni nei partiti che ci sono e quelli che potrebbero insorgere, con la prevalenza di una richiesta quasi edittale: la svolta deve essere “laica” o un cambiamento vero non ci sarà.
Sotto accusa è il rischio (secondo la scuola di pensiero prevalente) o la probabilità (ventilata sinora da un’altra scuola apparentemente minoritaria) che, dalle macerie di un bipolarismo trasformatosi in tripolarismo ma con un polo grillino bizzoso e sconclusionato, possa sortire una obbligata revisione degli schieramenti in atto negli ultimi vent’anni da fare inorridire le transumanze registrate negli ultimi due decenni. L’imperativo categorico che si sovrappone a tali previsioni è: “non moriremo democristiani”, in verità una speranzosa invocazione di sinistra inventata in altra epoca e altre condizioni, e con sinistre nelle quali si usava ragionare più che disputarsi seggi e prebende.
Poiché questo ritornello è giunto a contrassegnare il filosofare di accademici che vanno per la maggiore, oltre che parecchi giornali, non è inopportuno valutare che la irrilevanza politica dei cattolici non è di conio recente; che nessun partito resuscita dopo decenni (anche se non vi sarebbe nulla di male se qualcuno ardisse tentare un simile esperimento); che non esistono né gli uomini né le idee per una nuova Dc di tipo degasperiano (nella quale si aveva anche coscienza della necessità storica di una alternanza democratica); soprattutto, che tutto quell’armeggiare nell’invocare una egemonia laica sa di stantìo, di risorgimentalista di riporto, di fratture antiche e rivalse ghibelline assurde: specie con un papato liberatorio come quello di Francesco.