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Gli attacchi passati (e futuri) nel Nord Africa

La morte dell’ambasciatore americano, Chris Stevens, e altri tre rappresentanti diplomatici nella città di Bengasi, è il più drammatico episodio di una serie di incidenti accaduti durante tutto l’anno. Avvenimenti inquietanti, come quello all’ambasciata del Cairo, che potevano essere l’allarme preventivo di quanto stava per succedere. Così lo sostiene Jon Lee Anderson, giornalista del New Yorker nell´articolo “Benghazi and Cairo: Polarizing Attacks” pubblicato lo scorso 12 settembre.
 
In Libia, ad esempio, sono stati lanciati missili contro un convoglio di diplomatici britannici a Bengasi nel mese di giugno. Quella volta, ricorda Anderson, nessuno è rimasto ferito e la stampa non ha fatto molta attenzione. Come a settembre del 2011, quando l’ambasciata israeliana al Cairo è stata vittima di un attentato: in quell’occasione alcuni manifestanti avevano colpito le guardie del corpo ma nelle indagini non c’è stato il sostegno del governo per cercare i colpevoli.
 
Anderson, famoso per avere seguito da vicino le più importanti rivolte degli ultimi anni, ricorda che l’ultima volta che un ambasciatore americano è stato ucciso nel posto di lavoro è stato in Afghanistan. Era febbraio del 1979 e Adolph Dubs è stato fatto prigioniero e gambizzato a Kabul durante le manifestazioni violente che sono seguite al colpo di Stato dei sovietici, prima dell’invasione russa del paese lo stesso anno.
 
“La questione più preoccupante è che ancora non si è instaurato lo Stato di diritto in Libia: esistono decine, se no centinaia, di milizie fortemente armate, molti dei quali hanno perpetrato attacchi violenti contro i suoi rivali negli ultimi mesi. Alcuni di loro mantengono aperte prigioni clandestine nelle quali torturano ed uccidono, senza che ci sia stato alcun processo o condanna”, sostiene il giornalista. Così come in Egitto, dove numerose frazioni vivono con la speranza di strumentalizzare le forze in gioco del paese, dipendendo dai suoi obiettivi, per reindirizzare la rivoluzione d’accordo con i suoi interessi: alterarla, placcarla o radicalizzarla.
 
Per il reporter gli attacchi di Bengasi e il Cairo mettono in rilievo “le constanti incertezze nella cambiante relazione della regione con gli Stati Uniti, conseguenza di forze scatenate nella cosiddetta primavera araba, che cominciò l’anno scorso. Nel continuo tira e molla per il potere politico tra gruppi in confronto, non tutti amici degli Stati Uniti, si potrebbero presentare più sorprese sgradevoli”, scrive Anderson.


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