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Le mire di Mr. Tod’s e il gioco delle parti con Montezemolo

Fiat, sempre Fiat, fortissimamente Fiat. Ormai non si parla d’altro nell’italico circo mediatico, da quando, venerdì scorso, Diego Della Valle, padrone della Tod’s e azionista in varie società considerate strategiche come RcsMediaGroup, ha fatto uno shampoo alla Real casa torinese, accusandola in sostanza di essere inconsistente e incapace, una famiglia di furbetti che pensa solo al proprio piccolo, immediato interesse senza avere quella visione strategica indispensabile agli imprenditori degni di tal nome.
 
Il casus belli era nato dalla decisione del Lingotto, guidato da Sergio Marchionne, di tirare giù la saracinesca sul progetto Fabbrica Italia che prevedeva di investire negli impianti Fiat del nostro Paese la bellezza di 20 miliardi. Ora pare non se ne possa fare più nulla, causa il crollo mondiale del mercato auto, che in effetti esiste e che la Fiat subisce in modo molto più severo dei suoi concorrenti, continuando inarrestabilmente a perdere quote di mercato.
Questo aveva provocato l’intervento irritato di Mister Tod’s che ha impartito una lezioncina a John Elkann, erede dell’Avvocato alla guida della famiglia Agnelli. Quello che ha mediaticamente colpito e sorpreso è stata la replica di Luca Cordero di Montezemolo che ha dettato alle agenzie frasi molto critiche nei confronti delle critiche di Della Valle.
 
Oibò! Che succede?, ci si era chiesti nel circo mediatico sempre attento a seguire tutto quanto è marginale. Della Valle (DDV) e Luca di Montezemolo (LdM) non sono da sempre amici per la pelle? Ma certo che lo sono: sono soci in Italo, il treno concorrente di Frecciarossa, sono soci nel fondo Charme, in passato, tanto per ricordarne un’altra, avevano messo su insieme Acqua di Parma, poi venduta vantaggiosamente ai francesi di LVMH. Insomma, sono – come si dice – pappa e ciccia. E allora come mai adesso si prendono a maleparole? Quale cambio di strategia c’è sotto? Dietrologi: vi siete presi un buco, mettetevi al lavoro!
 
In realtà non c’è nulla. Solo bisogna considerare che LdM è in una fase delicata: mentre il suo progetto politico Italia Futura (IF) resta allo stato di ectoplasma, deve occuparsi di qualcosa di più serio e concreto, vale a dire di MF. Che non è l’acronimo del quotidiano MIlanoFinanza, ma di Montezemolo Futuro. Nel senso che, si sa, la famiglia Agnelli vuole prendere pieno possesso della Ferrari affidandone la presidenza a Lapo Elkann e togliendola proprio a LdM.
E’ una scelta che rasenta la follia e farà del Cavallino rampante un asino bolso nel giro di pochi anni, ma i padroni sono loro e fanno quello che credono. Dunque LdM è nella fase delicata che sempre si vive quando si deve trattare una buonuscita e in un simile momento la bordata sparata dall’amico contro i suoi padroni-liquidatori Agnelli è inopportuna. Di qui la necessità di smarcarsi dal focoso Diego. Dunque nessun cambiamento strategico; nessuna storica rottura del binomio DDV-Ldm: semplicemente un po’ di saggia prudenza mirata a un risultato concreto.
 
La querelle su Fabbrica Italia ha comunque avuto altri elementi che sono serviti, se non a chiarire la vicenda in sé, almeno a confermare i livelli in cui è caduta la Fabbrica Informativa italiana. Ieri sera sul Tg3, Bianca Berlinguer ha intervistato Cesare Romiti, per anni numero uno operativo a Torino. Il vecchio Romiti ha parlato dei bei tempi quando comandava lui, tutti rigavano dritto e la Fiat era un colosso. Magnifico, commovente.
A Bianca Berlinguer non è venuto in mente di far notare a Cesarone che, secondo molti di quelli che da anni seguono le travagliate vicende Fiat, una delle cause del disastro in cui è oggi il Lingotto è da far risalire proprio a lui e alla sua gestione. Cesare imperante, la Fiat ha smesso di essere una fabbrica di automobili ed è diventata una conglomerata che cresceva dell’editoria, nella finanza, nelle telecomunicazioni, eccetera. Cresceva perché aveva un solo scopo: aumentare il proprio peso, il proprio potere. Così le risorse finanziare che dovevano andare al miglioramento costante, quotidiano del prodotto auto, sono state dirottate altrove. Risultato di questa scelta: la Fiat produce auto che non piacciono e che perdono quote di mercato. Questo Della Valle lo ha detto e a ragione.
 
L’unico a non rendersene conto è Paolo Mieli, intervenuto anche lui sul tema Fiat nella trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber che lo intervistata assieme a Eugenio Scalfari. Per il serafico Paolino, che ha passato la serata ad adulare in maniera imbarazzante il monumentale Scalfari di fronte alla sorridente e plaudente Gruber, quello che sta succedendo e sta per succedere a Torino non è colpa di nessuno: il mercato va male ovunque, persino la Volkswagen naviga in un mare di guai (sic), ed è inutile prendersela con Marchionne e con il povero Jaki Elkann.
Grande Mieli: ieri ci ha fatto capire perché lo chiamano il re dei para… E’ vero che le cose vanno male per tutti, ma per la Fiat vanno peggio. Perde quote di mercato; o se vogliamo dirla con parole più semplici che possa capire anche lui, la percentuale di auto Fiat e del gruppo non fa che scendere. Ma che cosa volete che siano simili pignolerie per uno che è alla ricerca di una poltrona più significativa della sua attuale (presidente della Rcs Libri) e sa che potrebbe arrivargli proprio da casa Agnelli?
 
A dire qualcosa di accettabile alle menti raziocinanti è stato invece Della Valle nella trasmissione l’Infedele di Gad Lerner dedicata in gran parte al tema. Ha detto che gli Agnelli alla chetichella, dopo aver avuto tanto dall’Italia, se ne stanno andando dove pensano di realizzare profitti maggiori. E ha stigmatizzato questo comportamento come meschino, cinico, indegno di veri capitalisti. Alla fine, come nel suo carattere, ha chiuso con lo sberleffo “La famiglia Agnelli torni a occuparsi di quello di cui si è sempre occupata con successo: regate; sciate, golf…”
Ora, qualunque cosa si pensi di quanto ha detto Della Valle, interessante è chiedersi perché lo detto e perché proprio adesso. E non basta a spiegarlo il suo carattere impulsivo, che lo spinge a dire ciò che pensa quando vuole. Non è solo questo. Parafrasando il film “Il grande freddo”, si può dire che mister DDV ha avvertito che c’è un grande vuoto lì fuori, dove una volta stava il capitalismo italiano. Gli Agnelli si defilano, i Ligresti sono stati messi alla porta con ignominia, dei signori dell’acciaio meglio non parlare, Marco Tronchetti Provera, per anni candidato-erede dell’Avvocato, è alle prese con i Malacalza in quello che sembra un litigio condominiale, e avanti così.
Insomma c’è appunto un grande vuoto e i vuoti in politica non restano mai tali, qualcuno se li prende. E il signor Tod’s non si tira indietro.


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