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Ecco su cosa litigheranno in Tv Obama e Romney

Lo sfidante repubblicano si prepara allo scontro decisivo. A Denver, stasera, Mitt Romney cercherà di rovesciare quello che appare un esito tanto segnato da far dire a Cenk Uygur, frizzante analista politico della rete Young Turks (www.tytnetwork), che la “partita è chiusa”. Dati alla mano, nelle ultime quindici elezioni presidenziali chi era in testa due settimane dopo le convention (qui ne sono passate in effetti quattro), non ha mai perso a novembre. I dibattiti televisivi (ce ne saranno altri due a Hempstead il 16 e a Boca Raton il 22 ottobre) saranno comunque un’occasione per vedere “il vero Romney” in azione. Finalmente, verrebbe da aggiungere.
 
Troppi tatticismi, troppi cambi di posizione: dal controllo delle armi all’energia, dall’intervento statale in economia (Romney ha appoggiato il pacchetto di aiuti al settore auto) alla sanità, passando per la politica climatica. Sul Washington Post Eugene Robinson smonta l’approccio disinvolto del candidato repubblicano, sottolineandone però, tra tante oscillazioni, una costante debolezza: l’opposizione alla sanatoria per gli irregolari di buona condotta che rispondono a determinati requisiti di merito. È un problema, anche simbolico, non irrilevante: Romney si oppone a una legge che nello stesso acronimo (Dream – Development, relief and education for alien minors) evoca il contenuto spirituale della prassi sociale e della più pura tradizione americana, che a sua volta costituisce un richiamo anche per lo zoccolo duro repubblicano, fatto di un elettorato cristiano, conservatore e bianco. Così vengono sabotati i tentativi dei potenti repubblicani texani che da tempo cercano di incardinare il consenso dell’emergente borghesia ispanica, secondo le loro analisi “prigioniera” di un’innaturale coalizione democratica con le élite liberal e radicali della Costa est.
 
Altri punti qualificheranno il dibattito e il confronto di posizioni.
Le tasse. Romney vorrebbe tagliare le tasse sul reddito e ridurre quelle sulle imprese, mentre Obama vorrebbe estendere i tagli introdotti da Bush alle coppie con redditi inferiori ai 250mila dollari, eliminarli per i redditi superiori e introdurre una nuova imposta per chi guadagna oltre 1 milione di dollari.
Il deficit. Romney propone un robusto taglio alle spese discrezionali e ai trasferimenti, mentre Obama spinge per un mix di tagli alle spese e aumenti di gettito dalla tassazione dei redditi più alti.
La sanità. Obama difende il suo Affordable care act del 2010, che estende le protezioni del Medicare a nuove fasce di popolazione povera; per Romney si tratta di un carrozzone burocratico federale che finirà col travolgere la stessa Medicare, mentre propone di dare maggiore potere ai singoli Stati in materia sanitari.
La Fed. Ben Bernanke, capo della Fed confermato da Obama nel 2009 è difeso dai democratici, mentre i repubblicani pensano di sostituirlo e comunque criticano la terza campagna di acquisto dei bond.
La crescita economica. Obama punta a nuovi investimenti nell’istruzione e nelle infrastrutture, accompagnati da esenzioni fiscali. Per Romney si tratta invece di mettere in atto una massiccia deregulation e aliquote più basse per favorire le piccole imprese.
 
Comunque vada, una prima conclusione si può trarre. Quello che doveva essere un referendum su Obama sarà invece un test nazionale e mediatico delle ambizioni di un leader di partito, dalle doti indiscusse (non si vincono le primarie in uno Stato continentale come gli Usa senza avere grandi capacità politiche), ma ancora non in grado di incarnare, nell’immaginario americano, il nuovo Reagan.

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