Rottamazione a sinistra, formattazione a destra e… primarie per tutti. In sintesi, questo menù così di tendenza nel dibattito politico, conduce verso una sola direzione: un populismo sterile che porta piatti prelibati (voti) al tavolo degli estremi. Beppe Grillo lo ha capito, si è allenato in anni di show a pagamento, oggi gratuiti nelle piazze, e ha attraversato lo Stretto a nuoto. A sessanta anni suonati, l’impresa gli è riuscita e marcia spedito a suon di molti slogan e pochi contenuti verso l’altra sfida, quella di portare uomini in Parlamento, rischiando di vincerla…
In questo ambiente di acque agitate, vado quindi controcorrente affermando la pochezza (e la pericolosità) di un confronto politico troppo incentrato su brutte parole come rottamazione/formattazione e l’uso quantomeno confuso delle primarie. Soprattutto per quanto riguarda l’attuale centrosinistra e la campagna posta in essere dal novello camperista viaggiatore Matteo Renzi. All’uopo, per la precisione e perché in molti sembrano scordarlo, giova ricordare che il polverone sollevato dal monello toscano ha l’obiettivo di individuare nel Pd il candidato premier per le prossime elezioni.
Quindi, anche in caso dell’improbabile vittoria di Renzi, il suo antagonista principale, Bersani, resterebbe segretario di partito, il capo eletto in occasione dell’ultimo congresso, come tutto il direttivo. Renzi si troverebbe così quantomeno in imbarazzo, ovvero costretto comunque a dover fare i conti con quella nomenclatura che rappresenta oggi il tema principale del suo “essere contro”, dato che le sue proposte ed i contenuti appaiono leggerini.
Viene da chiedersi se il sindaco di Firenze abbia sbagliato i tempi non candidandosi alla guida del partito nel 2009! Oppure i suoi fini reali sono altri? Azzardo un’ipotesi: quelli di garantirsi una straordianria promozione mediatica personale, magari confidando paradossalmente in una sconfitta che gli consenta di “saltare il giro” in attesa di tempi migliori? Mah.
Dall’altra parte, in casa Pdl sono in molti a chiedere, giustamente a mio avviso, un rinnovo della classe dirigente del partito, in particolare la richiesta proviene dai giovani formattatori, ma non solo. E’ comprensibile che coloro i quali si sono impegnati in questi anni con spirito di sacrificio e onestà, soprattutto nella amministrazioni comunali, non ci stiano ad essere assoggettati a chi ha fatto fallire la promessa rivoluzione liberale, macchiandosi inoltre di oramai accertate azioni illecite. Tuttavia, succede che il principale rottamatore del Pdl sia proprio il suo leader, Silvio Berlusconi, con il suo annunciato (e spero sincero) “passo indietro” teso a favorire l’aggregazione di un nuovo polo liberale e moderato, naturalmente antagonista alla sinistra.
Viene così paradossalmente a mancare l’oggetto della richiesta, ovvero il fine ultimo per il quale è nata la protesta intestina al partito. Che fare quindi? Chiedere a gran voce, come a sinistra, le primarie? Pur non volendo entrare nelle loro questioni interne, mi permetto di suggerire una differente soluzione, la più semplice e immediata: il confronto diretto. Portino avanti come stanno facendo le loro giuste istanze, con fermezza diano termini di scadenza direttamente al Capo e non ai vari colonnelli e, qualora questi fossero disattesi, escano dal partito e guardino altrove.
Ho la sensazione che il Cavaliere, al quale non manca l’istinto “animale” nel fiutare le situazioni e gli umori, non sarà insensibile. Altrimenti, come nel caso di Renzi a sinistra, l’impressione che si potrebbe via via consolidare è che dietro alle parole rottamazione e formattazione, alla domanda quasi spasmodica di primarie, non ci sia solo una apprezzabile quanto auspicata voglia di rinnovamento (che peraltro non deve essere identificato, come avviene spesso, in un dualismo generazionale, bensì basato sul merito e sulle competenze dei possibili candidati), ma un malcelato desiderio di apparire e rincorrere una poltrona. Tutto lecito, ci mancherebbe… ma odora tanto di Prima e seconda Repubblica.