Recentemente il Ministro del Lavoro Elsa Fornero, come aveva già fatto il Ministro dell’Istruzione, ha speso alcune parole sull’importanza del titolo di studio universitario. “Meglio non inseguire un titolo per essere dottori per forza” ha detto la Fornero di fronte ad un uditorio composto dai migliori laureati degli atenei piemontesi; “ed avere, invece, una formazione tecnica spendibile”. L’istruzione universitaria sarebbe importante, dunque, purché legata al mondo del lavoro.
In effetti, nel caso si avesse qualche dubbio sulla situazione delle assunzioni, basta navigare un po’ in rete per capire che le figure più richieste si possono suddividere in due macro categorie: i laureati iper-specializzati (con ottimi curriculum e conoscenze specifiche) e i lavoratori (giovani o meno giovani che siano) che conoscono o vogliono imparare un mestiere. Estremizzando il messaggio è abbastanza chiaro. In una società dove, per fare un esempio, ci sono avvocati ed architetti, che guadagnano meno di un cuoco, o sei iscritto ad Ingegneria e Farmacia (sembra che siano quelle che vadano per la maggiore in termini di richiesta nel mondo del lavoro) oppure ripensa il tuo percorso e magari iscriviti ad un corso di cucina professionale.
Ma sarà poi vero che nel mondo dei corsi professionali è tutto rose e fiori? Se digitiamo corsi professionali Roma su Google e facciamo una piccola indagine, dopo un po’ troviamo di tutto. Si va dai corsi di cucina, ai più classici per estetista e parrucchiere, fino a quelli di sistemista reti, montatore video, programmatori vari e, una delle ultime novità, operatore SEO. Insomma sembra proprio un grande business. Sarebbe interessante capire quanti giovani che decidono di fare uno di questi corsi, riescono ad inserirsi agevolmente nel mondo del lavoro. Sicuramente, se sono in gamba, avranno delle possibilità, ma credo anche che se di crisi si tratta quest’ultima colpisca indiscriminatamente tutti gli ambiti professionali. Poi, è vero, pare che il mondo del vino, ad esempio, vada a gonfie vele e mia madre dice sempre che trovare un buon falegname è diventato difficilissimo (scuole per falegnami professionisti però non mi sembra che ce ne siano).
Ad ogni modo, quello che sostiene la Fornero, non è sbagliato. Non ci si può parcheggiare all’università e ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro con i contraccolpi che questa tendenza ha, fra l’altro, anche sul sistema pensionistico.
E la laurea così detta generalista?
Penso che chi debba iscriversi oggi ad un corso di studi, se è molto in gamba o sente di avere voglia di provarci, faccia bene a seguire le statistiche. Fare Ingegneria non è come studiare Storia dell’Arte, questo lo sanno tutti (sia in termini di difficoltà che di spendibilità del titolo). Inoltre, i tempi di Adriano Olivetti nei quali un laureato in Lettere poteva diventare Dirigente, anche in virtù dei suoi studi, sono lontani (non solo cronologicamente).
Però io sono uno di quelli che crede che lo studio, al di là del mondo del lavoro, sia una ricchezza, personale e sociale. Conoscere la storia del Cinema italiano, nel caso di chi ha fatto il DAMS ad esempio, può essere molto importante. Attraverso i nostri grandi registi, uno studente appassionato, può farsi un’idea di quello che è stato il percorso del nostro paese, dei cambiamenti che sono avvenuti, delle contraddizioni e dei contrasti che le generazioni precedenti hanno affrontato. La sua visione del mondo ne uscirà arricchita e questo non può che essere un bene in un momento dove ci si preoccupa del livellamento operato da un’antipolitica che non riconosce più le sfaccettature.
Parliamoci francamente però, conseguire una laurea in campo umanistico (da Lettere, a Scienze delle Comunicazioni, a Sociologia), al giorno d’oggi almeno, non è un’attività che richieda necessariamente, come nel caso di altre facoltà, un impegno a tempo pieno. Ben venga chi decide, dopo la maturità, di sbrigarsi e laurearsi nei tempi previsti. Ma tutti gli altri dovrebbero forse fare un ragionamento diverso. Con la spending review, in relazione alle tasse universitarie, si è voluto dare un segnale in questa direzione. Perché non iscriversi part-time allora e iniziare a versare i primi contributi? I primi a guadagnarci sarebbero gli studenti. Lavorare si sa, fa maturare prima.
In questo senso sarebbe forse opportuno ripensare l’Università. Non tanto in un’ottica didattica, come si è fatto con le varie riforme degli ultimi anni, quanto da un punto di vista burocratico. Per dirne una, chi lavora e contemporaneamente studia, non può essere costretto a passare una giornata in fila allo sportello della segreteria studenti.