Quella che appariva come la migliore soluzione possibile nella peggiore situazione parlamentare venutasi a creare a seguito del voto dello scorso febbraio è miseramente fallita: il governo delle larghe intese, della pacificazione, della possibile chiusura di un ventennio di chiacchiere e discussioni caratterizzato dalle vicende giudiziarie e politiche dell’unico leader che il panorama ha saputo offrire, peraltro il primo ad averlo invocato, tutto è tranne che un governo, ovvero un goverrnicchio dalle modeste, risibili e deludenti azioni. A distanza di pochi mesi si è rivelato come uno spettacolo circense, con il protagonista principale sempre in bilico su una fune tesa tra i due principali sostegni – il terzo non è mai nato – minati dalle base da beghe, rancori ed ambizioni personali dei suoi esponenti di secondo piano in cerca d’autore per future avventure parlamentari.
Una persona seria ed esperta come Enrico Letta non può non percepire la decomposizione progressiva della maggioranza che sostiene il suo esecutivo. Dopo aver cucinato qualche pietanza insipida ed aver proposto una ricetta del piatto principale rappresentato dalla legge di stabilità che non piace a nessuno degli invitati, illuso da un effimero successo in occasione della grottesca votazione di fiducia di qualche settimana fa, si ritrova oggi con più problemi di prima, a prescindere paradossalmente dal giudizi negativi sollevati sul suo operato.
E’ lui la prima vittima delle sentenze di una magistratura che, a torto o a ragione, ha minato fin dalle origini la solidità e la capacità di agire di un governo che era chiamato ad aggredire gli effetti di una crisi economica senza precedenti. Poi ci mette del suo, ovvero è francamente miope affermare che le vicende personali del leader di uno dei suoi maggiori alleati per il patto di governo non abbiano nulla a che vedere con le questioni del suo esecutivo. Far finta di niente è come nascondere la testa dietro ad un muro di sabbia del proprio ruolo istituzionale. L’evidenza del peso politico dovuto al consenso che Silvio Berlusconi riscuote presso l’elettorato, nonostante una certa nomenclatura cerchi di contrastare con ogni mezzo, peraltro spesso discutibile ed alieno al normale confronto politico, avrebbe dovuto suggerirgli ben altri atteggiamenti, diversi da quelli oggettivamente pilateschi assunti fino ad oggi.
Quindi, era inevitabile che il Cavaliere reagisse riaffermando che lui è sempre Silvio Berlusconi: piaccia o meno ai suoi avversari, a coloro i quali continuano in maniera stucchevole e noiosa a parlare della sua situazione anormale dimenticandosi però che il nostro non è un Paese normale, dove le regole dell’etica ed anche le leggi sono si uguali per tutti tranne spesso che per qualcuno, e dove un ministro della Giustizia è chiamato a dimettersi da una rappresentanza parlamentare forcaiola solo per essersi interessata alla vicenda umana di un’amica in carcere, senza aver peraltro commesso nessun abuso, forzatura o peggio reato. Un Paese dove una commissione del Senato cambia in corsa le regole delle procedure di voto sulla possibile decadenza di un loro pari fingendo ipocritamente che tale sia e non che si chiami Berlusconi Silvio, leader politico di alcuni milioni di cittadini italiani, pensando alla sola convenienza politica personale o del proprio schieramento.
In un Paese così fatto, Letta si è dimostrato quello che è, ovvero una persona perbene ma che nella modestia e mediocrità della sua figura quale leader e premier ha già fallito nella sostanza: a giorni lo sarà nei fatti di una sua caduta o nel rimpasto di una maggioranza alternativa ancora più anomale, fragile e inetta.
E mentre soffia forte il vento di nuove elezioni, alcuni digiunano per cambiare la legge elettorale, gridando a gran voce contro la pessima attuale ed auspicandone una nuova, pensando che possa modificare lo scenario futuro, garantire una vera democrazia rappresentativa di eletti non nominati e nel contempo la governabilità, senza però accorgersi, illusi o ipocriti, che la madre di tutti i problemi è solo nella legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, ormai incompatibile con la realtà volubile e troppo variegata dovuta agli umori politici degli italiani.